Commento

La retorica del Wef e i limiti del capitalismo

È lo stesso fondatore del Forum di Davos Klaus Schwab a mettere in guardia dagli eccessi del neo-liberismo che facilitano il populismo

Klaus Schwab con alle spalle Donald Trump (Keystone)
25 gennaio 2020
|

E anche quest’anno – come gli anni precedenti, del resto – la retorica ha preso casa per qualche giorno al Wef di Davos, almeno a giudicare da quanto emerso dai resoconti dei mass media nazionali e internazionali. Dal mondo che sta bruciando, all’emergenza climatica che ci chiede di cambiare radicalmente il nostro stile di vita subito, ovviamente; fino alle affermazioni di André Hoffmann, vicepresidente della Roche – una delle principali aziende farmaceutiche al mondo – che ha detto che un’economia “basata sulla massimizzazione dei profitti è assurda e inefficace”. La convinzione di Hoffmann è che le imprese “non debbano più essere gestite solamente secondo gli interessi degli azionisti, ma anche secondo quelle di tutte le parti in causa della società”. Opinione di buon senso e condivisibile la sua, ma chissà perché suona così stonata sentirla dire da chi ha avuto – e ha tutt’ora – responsabilità e capacità molto più importanti di un comune cittadino.

Ad ogni modo il tema della sostenibilità economica, sociale e ambientale delle imprese non è nuovo. È già da un paio di decenni, per esempio, che l’Unione europea in un suo ‘Libro verde’ del 2001 (si chiamano così le comunicazioni non vincolanti della commissione Ue su determinati temi) parla di responsabilità sociale d’impresa e riprende – invitando i soggetti coinvolti ad adottarli – i principi che la regolano. Per la prima volta quindi, dai dibattiti puramente accademici tra economisti aziendali degli anni 70 e 80, un’istituzione sovranazionale invitava le imprese a perseguire anche altri obiettivi, rispetto al puro profitto. Quali siano questi obiettivi ‘sociali e ambientali’ e come raggiungerli rimane appannaggio delle imprese stesse. I limiti etici all’attività economica che comunque rispetta le norme legali sono volontari. Le autorità pubbliche a tutti i livelli hanno poco da dire in questo senso, se non invitare a generiche buone pratiche.

Al Wef di Davos il dibattito sulle conseguenze e sui limiti del capitalismo, complici anche le mutate e camaleontiche sensibilità degli organizzatori del Forum, ha fatto un balzo avanti. Il contrasto evidente tra il vecchio Donald Trump e la giovanissima Greta Thunberg è probabilmente l’immagine più emblematica e iconica dell’ultima edizione, ma è stato Klaus Schwab, fondatore del Wef, in un’intervista concessa a un consorzio di quotidiani europei, tra cui ‘Repubblica’, prima dell’inizio del Forum, ad aver fatto fare un salto di qualità al dibattito culturale attorno al futuro del sistema economico. L’attuale capitalismo “produce crisi, instabilità sociale e politica e va riformato prima che sia troppo tardi”, ha affermato l’uomo ‘davosiano’ per eccellenza. Schwab parte dal riconoscimento che oggi il pendolo della storia va nella direzione contraria rispetto a quella preconizzata anni fa dalla globalizzazione dei mercati. “Il neo-liberismo estremo e la spinta ai massimi profitti producono un abisso, ed è questo abisso tra i ricchi e i poveri che determina nella popolazione un evidente senso di mancanza di giustizia sociale, accentuata dal boom dei social media”. Una frase attribuibile qualche anno fa a un attivista ‘no-global’.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE