Commento

Addio al nucleare, passo storico ma ne servono altri

Non si vada però ad acquistare energia nucleare all'estero o a produrla con gas o carbone. È un'occasione d’oro per investire nel nostro idroelettrico.

Il reattore di Mühleberg (Keystone)
20 dicembre 2019
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Si è utilizzato il termine ‘storico’ per definire lo spegnimento della centrale nucleare di Mühleberg. In verità è la logica conseguenza di un cambio di paragidama energentico operato dal Consiglio federale che, su input di Doris Leuthard davanti all’inferno di Fukushima, ha optato per l’uscita della Svizzera dal nucleare. Una virata non semplicemente calata dall’alto, ma condivisa – democrazia diretta grazie! – anche dal popolo che ha benedetto alle urne la nuova strategia energetica 2050.

Quindi, lo spegnimento di una centrale che ancora funziona(va) bene è un momento solenne, preceduto però da altri passi altrettanto importanti. E di questi passi, anche se meno eclatanti, ce ne saranno ancora: andranno investiti decenni e miliardi nello smantellamento in un’operazione definita non per niente pioneristica.

Scorie chi le vuole?

Smantellamento che richiederà di risolvere questioni enormi, per non parlare poi dell’annoso problema del rientro delle scorie. Chi le vorrà vicine a 'casa'? Anche su questo fronte sarà cruciale il momento in cui troveremo (finalmente) una soluzione qui da noi e non liberandole nello spazio, o stoccandole in qualche deserto (anche questo venne proposto anni fa) in casa altrui.

Pure rivoluzionaria ci auguriamo che sia la nuova via della riconversione energetica post atomo: andremo semplicemente ad acquistare energia ancora nucleare prodotta in altri paesi a noi vicini, o prodotta magari col gas o col carbone – che inquinano e non pagano tutti i costi che generano – o punteremo su un’alternativa più pulita che come cantoni alpini siamo in grado di offirire investendo ancora sull’idroelettrico? Un mercato, quest’ultimo, che, venendo meno gli investimenti nel nucleare, dovrebbe avere di nuovo il vento in poppa, beneficiando pure della svolta sul fronte della legge sul Co2 e del sostegno di un parlamento più verde.

Attenzione ai costi in salita!

Tutto questo per dire che, se anche solo uno degli anelli della lunga catena dell’uscita dal nucleare fosse mancato, oggi non avremmo iniziato a spegnere il nostro primo reattore. E anche che un voto popolare favorevole non basta a far cambiare l’orientamento, perché le pressioni dell’economia possono anche fare rigirare il vento in un secondo tempo e influenzare l’opinione pubblica.

Una delle prossime domande alle quali sarà necessario dare una risposta sarà ad esempio come fare a continuare a fornire elettricità a costi ragionevoli in un’economia sempre più energivora? Un passaggio anch’esso delicato (se non storico) che dovrà dimostrarsi il più possibile indolore per i nostri portafogli.
 
La nostra grande speranza è che indietro davvero non si torni. Anzi, che altri paesi che ancora non lo hanno fatto imbocchino la medesima strada. Nucleare addio.

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