Commento

Il salario è minimo sì, ma necessario

L'intesa politica è fragile e alle condizioni attuali non si poteva ottenere di più. Tocca in realtà alle forze sociali evitare derive nel mondo del lavoro

Una misura per contrastare la povertà lavorativa (Ti-Press)
10 dicembre 2019
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L’intesa politica sul salario minimo cantonale è fragile finché si vuole e si può disquisire all’infinito sull’adeguatezza o meno della forchetta uscita dai lunghi – sempre troppo – lavori commissionali, ma ha almeno il pregio di accogliere quanto deciso dai cittadini il 14 giugno 2015 con il sì all’iniziativa popolare ‘Salviamo il lavoro in Ticino’.

La proposta, lo ricordiamo, chiedeva di introdurre soglie salariali minime vincolanti per i settori sprovvisti di contratti collettivi di lavoro, senza specificare quali dovessero essere. Poco più di un anno prima gli stessi elettori ticinesi, assieme alla maggioranza degli altri cittadini svizzeri, avevano respinto a larghissima maggioranza un’iniziativa popolare dell’Unione sindacale che proponeva un salario minimo orario di 22 franchi: i famosi e auspicati 4mila franchi lordi mensili.

Il limite massimo cantonale a cui tendere dal 2025 – dopo un triennio di test a soglie diverse – è di 20,25 franchi lordi. Non è certo un salario orario che permetterà ‘un tenore di vita dignitoso’, come richiesto dagli iniziativisti, ma è meglio di nulla visto che già oggi sono stati firmati e sono in vigore contratti collettivi – per rimanere nell’ambito della contrattazione tra sindacati e imprenditori e non di quelli imposti d’autorità dei contratti normali – con minimi ben inferiori: quello degli interinali e del settore delle pulizie, per citarne solo due.

Anche la tesi che a beneficiare del salario minimo saranno solo i lavoratori frontalieri è perniciosa e fuori luogo. Anzi, è proprio l’assenza di regole salariali vincolanti a creare due realtà lavorative parallele dove il dumping ha campo libero. Mettere un limite salariale invalicabile al di sotto del quale non si può scendere, tutela in prima istanza l’intero mercato del lavoro locale perché in questo modo si mettono fuori legge di colpo determinate pratiche al limite del corsaro. E questo – per rimanere a quanto stabilito dal Consiglio federale nella concessione della garanzia federale alla modifica costituzionale ticinese – tenendo conto dei limiti posti dalla stessa Costituzione federale (la libertà economica all’articolo 27 e i limiti dei diritti fondamentali all’art. 36). Tradotto, ciò vuol dire che il salario legale non deve interferire con la libertà d’impresa e quella contrattuale.

Detto in altre parole, tocca alle parti sociali (sindacato e mondo imprenditoriale) negoziare le migliori condizioni di lavoro possibili, salario incluso, stipulando contratti collettivi di lavoro settoriali degni di questo nome. Delegare alla sola politica questa funzione è paradossalmente una debolezza del movimento sindacale. Il limite salariale inferiore, nel caso il Gran Consiglio darà il suo via libera, comunque è dato. Ed è un fatto positivo.

Non bisogna però farsi illusioni che così facendo si risolveranno tutti i problemi del mercato del lavoro che non sono solo di tipo salariale. Sottoccupazione, lavoro gratuito e precarizzazione sono fenomeni che esistono anche in Ticino e purtroppo sono crescenti. Alla politica quindi il compito di creare i presupposti legali perché ciò non avvenga.

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