Commento

Camminando con i curdi

Perché investire tre ore in una manifestazione di piazza che verosimilmente non cambierà nulla? Perché è giusto così. E non sempre ciò che è giusto è pure utile

13 ottobre 2019
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Sabato pomeriggio, ti guardi attorno. Il lavoro accumulato, il frigorifero vuoto, la siepe da potare, le lampadine da sostituire, i piatti nel lavandino… Responsabilità e miserie della quotidianità ti chiamano, evocano scenari sinistri in cui franano i tuoi equilibri domestici. Sei pronto a lasciarti recintare come un criceto nel perimetro stretto dell’ordinario. Eppure, dalle profondità dello spazio siderale che ti abita, una voce ti raggiunge: No, al diavolo compiti spesa stoviglie luci artificiali e photinia serrulata. Oggi scendi in strada con i curdi.

Un rigurgito di razionalismo ti induce a chiederti perché. Perché dovresti investire tre ore della tua breve esistenza in una manifestazione di piazza che verosimilmente non cambierà nulla negli equilibri e nelle ingiustizie della geopolitica internazionale? Perché frapporre la tua insignificante presenza allo scorrere di una Storia che richiede sempre i suoi sconfitti, le sue vittime sacrificali? Perché è giusto così, ti trovi a rispondere. E non sempre ciò che è giusto è pure utile, o almeno non immediatamente “utile”; quasi mai produce qualcosa di immediatamente tangibile, come il pensiero utilitarista del nostro tempo vorrebbe.
Mentre osservi i volti dolenti, scolpiti nella carne, di quelle donne silenziose accanto a te – esibiscono come reliquie crudeli le immagini dei feriti dai bombardamenti sul Rojava – una voce si alza, forte, affilata e inequivocabile. Proviene da una donna siriaca, quasi aggrappata al microfono, della quale non hai afferrato il nome e che presto svanirà fra le persone ritrovatesi in Piazza a Bellinzona. «L’indifferenza e l’impotenza non possono avere il sopravvento, perché così verrebbe meno anche la nostra libertà». Ha detto proprio così?, ti chiedi sgranando mentalmente le sue parole. Che importa? È questo che ti è arrivato. La piccola donna siriaca ti indica il senso di questo pomeriggio qualunque nel versante al sole del mondo, che ti vorrebbe ostaggio di un pensiero pratico e in fondo rassicurante: non conto nulla dunque non esisto. Eccolo, il nocciolo della questione: non ti trovi qui, in una piazza qualsiasi e (quasi) insignificante, solo per affermare il tuo No a quelle bombe che piovono sulle case dei curdi siriani e sui giornalisti che provano a raccontare quanto sta accadendo, il tuo No a un’altra ingiustizia che resterà impunita, a un ricatto che umilia l’Europa. Dopotutto, come sempre in ogni piazza aperta, sei qui anche per te: per non lasciarti cintare come un animale braccato o spaurito nel tuo senso di impotenza; non cedere al demone dell’indifferenza che ti sottrae la tua sensibilità e la tua intelligenza; alimentare quella fiamma che fa di te un essere umano, la tua libertà, che ti richiede responsabilità, anzitutto verso te stesso.
Poi, con un occhio osservi divertito le vecchie bandiere rosse e con un orecchio stanco ascolti le parole dei politici ticinesi. Ti vien da chiederti perché questo momento dovrebbe essere “politicizzato”. Perché dovrebbe riguardare solo la cosiddetta “sinistra”? I liberali della consigliera federale che vorrebbe lasciare laggiù i combattenti svizzeri dell’Isis non hanno niente da dire, neanche i popolari della fu solidarietà cristiana, nemmeno la destra che difende valori e confini nazionali. Rinunci a trovare una risposta. Accanto a te noti un uomo alto e magro, ha gli occhi lucidi. Ramadan ti dice che in Rojava ha perso due fratelli, caduti nella guerra contro i fondamentalisti. Ora, sui suoi amici e familiari cadono le bombe di Erdogan. Mentre ascolti il racconto della loro fuga verso Est, che a Ramadan e ai curdi ticinesi giunge frammentario ogni giorno, ti sembra per un istante di percepire quei fili invisibili che legano il tuo microcosmo allo spazio sconfinato al di fuori di te.

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