IL DIBATTITO

Greta, Malala, Olga: perché dobbiamo ascoltare delle sedicenni?

Il loro messaggio è forte proprio per il candore, l’innocuità (apparente), l’innocenza di chi non ha niente o tutto da perdere. Non lasciamole sole

Greta (Keystone)
8 agosto 2019
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La giovane blogger pakistana Malala Yousafzai il 9 ottobre 2012, rientrando da scuola, viene assalita da un commando, che le spara tre colpi in testa. I talebani rivendicano l’attentato in nome delle sue posizioni “oscene” (a loro detta) a favore del diritto all’istruzione. Sopravvive per miracolo grazie a tre operazioni. Il 10 luglio 2013 interviene all’Assemblea della Gioventù delle Nazioni Unite. Il 10 ottobre 2014, a soli 17 anni, riceve il Nobel per la Pace “per la lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”.

Stoccolma. Dal 20 agosto al 9 settembre 2018, data delle elezioni legislative, la quindicenne Greta Thunberg manifesta silenziosamente davanti al Parlamento svedese. Il suo cartello recita Skolstrejk för Klimatet (Sciopero scolastico a favore del clima). Dopo le elezioni, riprende a manifestare ogni venerdì. Il 14 dicembre 2018 interviene alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Katowice in Polonia. Il suo discorso, che accusa senza mezzi termini il lassismo dei leader mondiali nella salvaguardia dell’ambiente, diventa virale. Molti studenti in tutto il mondo scioperano al suo fianco dando vita al movimento internazionale Fridays for Future. Tre parlamentari norvegesi la propongono al Nobel per la Pace di prossima assegnazione.

Mosca, 27 luglio 2019. Manifestazioni indette per protestare contro l’esclusione dei candidati indipendenti dalle elezioni municipali che si terranno nella capitale l’8 settembre. Un’istantanea mostra una ragazza seduta in ginocchio con un libro in grembo che dà le spalle a uno squadrone di poliziotti in tenuta antisommossa. La diciassettenne Olga Misik sta recitando gli articoli 3, 27 e 31 della Costituzione russa per rivendicare il diritto a ritrovarsi, a manifestare pacificamente e alla libertà di parola. In pochi minuti, l’immagine fa il giro del mondo.

Tre nazioni diverse, tre giovani donne tra sedici e diciassette anni diventano in pochi mesi, se non pochi giorni, dei simboli planetari di resistenza morale e civile. Il tamtam via social media può spiegarne la rapida diffusione, ma non le ragioni del loro successo. Perché proprio loro? Perché le parole (di Malala e Greta) o l’immagine (nel caso di Olga) di una diciassettenne possono assurgere a simbolo universale di resistenza alla brutalità (nel caso di Malala e Olga) o all’indifferenza (nel caso di Greta)?

Una ragione, forse la principale, risiede nella radicalità del loro messaggio. Una radicalità che si/ci riconnette con i valori più profondi – imprescindibili – dell’essere umano e della società: il rispetto dei bambini, le pari opportunità, la libertà d’espressione, il diritto a crescere in un mondo non devastato da guerre o da cataclismi ambientali. La loro radicalità è del resto inattaccabile, non solo dal profilo etico, ma anche da quello scientifico (per Greta), da quello costituzionale (per Olga) o da quello dei diritti internazionali del fanciullo (in particolare per Malala, ma si potrebbe sostenerlo inequivocabilmente per tutte e tre le giovani). La loro radicalità si/ci riconnette anche agli ideali che in fondo in fondo covano dentro ogni essere umano (anche di coloro che per convenienza od opportunismo se lo dimenticano o fingono di dimenticarselo) e, in questo, è inattaccabile anche dal profilo politico, se non da alcuni esponenti antidemocratici estremisti o da alcuni simpatizzanti delle lobby o delle oligarchie finanziarie, in quanto non riconducibile o riducibile a un’ideologia o a un partito.

Il loro messaggio è radicale poi perché affronta i principali problemi del nostro mondo – l’incombente disastro ambientale, la soppressione dei diritti fondamentali dell’essere umano – andando alla radice e alle cause dei problemi stessi. Lontano dalla retorica politica e mediatica, lontano dal rancorismo della rete, lontano persino dalla passività di certo intellettualismo, disponendo solo di pochi minuti di filmato o nell’immediatezza di un’istantanea, le tre giovani bucano lo schermo dell’indifferenza e parlano direttamente ai nostri cuori. In tal senso, la loro radicalità, a differenza di quella presunta di tanti loro compagni adulti, non ha paura di dire che “il re è nudo”: nudo perché tradisce una Costituzione (Olga), nudo perché al di là dei discorsi di facciata non agisce sufficientemente per la salvaguardia del pianeta (Greta), nudo perché il diritto all’istruzione non è ancora un diritto universale, anche in quei Paesi sedicenti democratici (Malala).

Il loro messaggio è radicale, perché proviene da una generazione che non ha ancora diritto al voto e che quindi deve trovare (e per fortuna li ha trovati) altri canali per far sentire la propria insopprimibile voce. Da ultimo – e non è un caso – la loro radicalità proviene dal fatto di essere delle donne e di dover quindi avere ancora più forza nell’esprimere il proprio messaggio. Contro ogni discriminazione. E questo non solo a fronte della noncultura del maschilismo pakistano o del machismo putiniano. Il loro messaggio è allora tanto più forte proprio per il candore, l’innocuità (apparente), l’innocenza disarmata e disarmante di chi lo veicola. Di chi non ha niente o tutto da perdere.

Ora non vanno lasciate sole. Il rischio è infatti che diventino un alibi o peggio ancora un’eccezione che conferma l’indifferenza e l’apatia imperanti. Se tre giovani donne, a rischio della loro vita, hanno tirato il campanello d’allarme nell’interesse del pianeta e di ogni essere vivente, sta ora a tutti noi (leader politici ed economici in primis, semplici cittadini inclusi) cercare di fare in modo che la voce luminosa di queste giovani donne coraggiose (come di tante altre che si impegnano quotidianamente o di tante altre che verranno) non vada inascoltata e possa guidarci verso la (ri)costruzione di un mondo più equo e solidale. Di fronte a questioni vitali per la sopravvivenza dell’umanità, queste giovani donne coraggiose ci insegnano che ben presto non potremo esimerci dal prendere posizione nella lotta tra chi vuole difendere una democrazia incentrata finalmente sulla salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone e tra chi democraticamente eletto ne disconosce populisticamente i principi e le istituzioni. Se è vero, come dice il proverbio, che per educare un bambino ci vuole un villaggio intero, a volte, come in questo caso e come ci sta dicendo la storia di questi tempi straordinari, è anche vero che per educare un villaggio ci vuole la voce di un bambino (o di una bambina).

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