Commento

Sregolato va bene purché genio

“McEnroe? Fenomeno”. “Kyrgios chiiii?”. E fa tutta la differenza del mondo.

8 agosto 2019
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Nello sport il dibattito è aperto: risultato o prestazione? Sostanza o qualità? Posto che i frutti si raccolgono sovente proprio per effetto di quanto bene si semina, se ragioniamo in termini di eccellenza o di élite, è comprensibile che a prevalere, in ordine di importanza, sia il risultato.
Per l’atleta che lavora e si prepara per competere, l’obiettivo non può che essere quello. Anche perché ad esso sono legati premi, sponsor e contratti. Insomma, chi di sport campa, allo sport chiede lo stipendio. Lauto, se arrivi primo. O tra i primi.

La prospettiva dello spettatore, del fruitore di sport – da divano o da stadio che sia – è però diversa. Apprezza il risultato, ne riconosce l’importanza, ma prima di festeggiarlo pretende spettacolo. Per un principio di proporzionalità, la portata della celebrazione dipende dalla qualità dell’offerta. Lo spettro è ampio: si passa dall’atto dovuto dell’applauso di circostanza, al delirio. La differenza la fa, appunto, il contributo di estro e fantasia, merce piuttosto rara, invero.

La gente chiede, insomma, che ne valga la pena. Del resto, paga per vedere qualcosa che somigli anche all’intrattenimento, nei limiti di quanto concesso da un contesto in cui tutti sanno che in campo ci si scanna per prevalere, come è giusto che sia.

Ecco perché, tradizionalmente, il pubblico appassionato adora chi al genio affianca la sregolatezza, che si traduce in imprevedibilità e, quindi, in spettacolo.

Attenzione, però: scomodiamo pure il concetto di sregolatezza, tuttavia con il ragionamento si badi bene di non uscire dai confini dell’eccellenza. Per intenderci, parliamo di John McEnroe, non di Nick Kyrgios, uno che il talento di cui è dotato lo offende con sceneggiate indegne e con siparietti da avanspettacolo che altro non fanno che renderlo antipatico, in quanto ripetitivo e, soprattutto, perdente. Non basta un “colpo sotto” per attirarsi le simpatie del pubblico, se a tale estro non fanno da contraltare risultati in linea con l’ampiezza dell’ego di chi se ne rende protagonista.

Il numero da circo è benvenuto, ma solo se sostenuto dalla qualità della prestazione e dalla professionalità. Tradotto: bisogna saperselo permettere.

Uscire dagli schemi, improvvisare, stupire, piace, purché le licenze artistiche poggino su una solida base tecnica, che tali “sortite” possa legittimare.

Agli occhi di chi lo sport lo guarda, una vittoria costruita anche su estro e fantasia strapperà sempre più applausi di un successo anonimo e impostato sull’attesa, sulla lotta a oltranza senza concessione ai picchi emotivi, imprescindibili ai fini della storia alla quale record e risultati vanno consegnati. Le imprese, le ricordiamo tutti per sempre. Le semplici vittorie, per contro, tendiamo a dimenticarle, proprio perché non fanno breccia nel cuore.

Tornando a Kyrgios, osiamo dire che ce ne vorrebbero di più, con quella vena folle. Se solo riuscisse a capire che con un salto di qualità a livello di professionalità, da talento inespresso, da macchietta scontata quale è, potrebbe diventare un tennista vero, non una controfigura da schiaffi. Sarebbe un idolo delle folle che adesso, invece, lo fischiano o snobbano, tante ne ha fatte. Lo capirà mai? Non se nella sua anima tormentata continuerà a prevalere la sregolatezza fine a se stessa, legata a filo doppio a rimpianti e occasioni perse. A scapito del genio.
Terminiamo con l’accostamento ingeneroso di cui sopra: “McEnroe? Fenomeno”. “Kyrgios chiiii?”. E fa tutta la differenza del mondo.

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