il dibattito

Il saccheggio come aiuto allo sviluppo

I paesi europei, con falsa generosità, depredano in continuazione l’Africa di materie prime. Gli aiuti sono una minima parte del ricco bottino

(Keystone)
30 luglio 2019
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L’accademico Ernesto Galli della Loggia si è recentemente espresso sul ‘Corriere del Ticino’ affermando, in buona sintesi, che le filantropiche intenzioni Europee (bontà nostra!) di aiutare gli africani a casa loro sono destinate comunque a fallire data la mancanza, presso questi popoli, di un’organizzazione sociale e culturale in grado di trasformare il capitale in ricchezza. Si tratta di un’affermazione paternalistica doppiamente bugiarda. I paesi europei, con falsa generosità, depredano in continuazione l’Africa di materie prime, e quello che le ritorna in aiuti è solo una minima parte del nostro ricco bottino.

Secondo, il sistema repressivo e divisivo delle potenze coloniali ha distrutto la civiltà nera fatta di pesi e contrappesi esacerbando le tensioni etniche, sostituendovi regimi militari dispotici in spregio delle proprie origini e tradizioni, sponsorizzati dal neo-colonialismo economico, che è una delle peggiori forme di imperialismo. Smettiamo quindi di parlare come se facessimo della carità, e trattiamo gli interventi per quello che devono essere, ossia riparazioni a danni e torti provocati per mero tornaconto, alcuni ormai irrimediabili se contiamo le decine di milioni di morti provocate da guerre e carestie che avrebbero potuto, e dovuto, essere evitate.

Gli studi più recenti indicano come i paesi dell’Africa sono collettivamente creditori verso il resto del mondo di oltre 40 miliardi di dollari all’anno; è cioè molta di più la ricchezza che lascia il continente più impoverito del mondo, di quanta ve ne stia entrando per grazia dei paesi ricchi. Le economie locali sono state organizzate in monoculture per l’esportazione di materie prime a basso costo, e non sull’attività molto più redditizia della loro trasformazione e raffinazione. E anche quando ciò succede, le società straniere prendono la maggior parte dei profitti generati evadendo ed eludendo tasse in specie attraverso paradisi fiscali, e rimpatriando il resto alla casa madre. E siccome il mondo vive di furbizia, quest’ultima operazione, siccome il Pil non attribuisce i profitti di una multinazionale allo Stato dove questa ha sede ma allo Stato dove la fabbrica o l’attività è situata, permette all’Occidente di prendere le risorse dei paesi del Sud e chiamarlo un guadagno per il Sud.

La nascita di una coscienza pan-africana è sempre stata contrastata almeno dal finire della seconda guerra mondiale, quando le ricchezze dell’Africa hanno contribuito alla ricostruzione dell’Europa, e questo dopo aver già finanziato due guerre mondiali. Dagli anni cinquanta banca mondiale e Fmi, in violazione degli intendimenti originari per cui sono state create e a favore del sistema economico dominante, hanno imposto ai paesi poveri un processo di rimozione dei dazi commerciali, di liberalizzazioni, di accordi di libero scambio e privatizzazioni che ne hanno bloccato lo sviluppo e condotto a effetti disastrosi. Gli interessi sul debito contratto, che l’Africa non riuscirà mai a ripagare, servono esattamente per continuare a derubarla. Se i blocchi sul Mediterraneo fossero eretti dai paesi africani per quanto è dei beni minerari, agricoli e della manodopera a basso prezzo, l’Europa (ma non solo) cadrebbe in gravi difficoltà. D’altronde, quando le scorie si esternalizzano e le risorse si depredano, una popolazione sproporzionata alle risorse rinnovabili del proprio territorio diventa una potenziale bomba a orologeria. Oggi l’Europa non può permettersi di trattare equamente l’Africa poiché ne andrebbe della propria stabilità. Un prezzo che politicamente nessuno intende pagare, fornendo una via di fuga a chi, pur percependo questa ingiustizia, preferisce lavarsene le mani.

*astrofisico ed ex consigliere comunale dei Verdi a Bellinzona

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