Commento

Se l'università causa attacchi di panico e deprime...

Forse anche il capitolo studenti non è altro che uno degli specchi di equilibri di vita fragilizzati, che la frenesia della società del ‘tutto, tanto e subito’ produce perdendo di mira il valore intrinseco delle cose!

23 luglio 2019
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Disturbi del sonno, attacchi di panico, depressioni: sono molti gli studenti universitari che si rivolgono agli psicologi… Iniziava così un articolo di ieri su queste pagine (oggi ci torniamo in pagina di Lugano) col quale lunedì abbiamo anche deciso di aprire l’edizione.

Accipicchia, mi sono detto, davvero un cattivo segnale quel nuvolone nero sospeso sul ‘morale delle truppe’.
Che siano depressi quelli che hanno qualche anno in più, magari alle prese con un divorzio, un lutto, un licenziamento, una malattia, fa parte (purtroppo) dei casi dolorosi della vita. Ma che lo siano i giovani che si stanno preparando ad affrontare i primi veri passi della vita non può non preoccupare.

A detta dell’articolo, che si rifà a un sondaggio del ‘SonntagsBlick’, le cause sono le giornate di studio sempre più intense, le pressioni di docenti e dei compagni di studio che carburano per fare sempre meglio, e, in alcuni casi, anche il peso dei lavori saltuari per potersi mantenere agli studi. Così, per offrire consulenze agli studenti giù di giri, è tutto un fiorire di servizi specializzati messi a disposizione dalle università.

Che la concorrenza fra studenti e la pressione dall’alto stiano sempre più aumentando, non è una novità.
Ci sono facoltà che subiscono pressioni esterne, da parte del mondo del lavoro, per non sfornare troppi laureati, perché poi in certi ambienti si preferisce non aver troppi concorrenti; ci sono poi le facoltà che da sempre posizionano le asticelle a livelli molto alti, come ad esempio quelle di medicina o i politecnici federali a cinque stelle, dove anche se sei bravo non basta e devi puntare all’eccellenza. E infine ci sono – ed è qui che volevamo arrivare – tanti (forse troppi) studenti, che spinti dal mito della formazione universitaria, intraprendono studi accademici senza esser particolarmente interessati o dotati nella materia scelta.

Studenti che decidono di iscriversi ad una facoltà senza (in certi casi) saper nemmeno loro perché l’hanno scelta. O, meglio, lo sanno benissimo: hanno optato per quell’iter di studi perché qualcosa dopo il liceo dovevano pur studiare. Ma non è detto che si sia davvero portati per quella materia che, se studiata all’università, deve (o dovrebbe) essere di livello alt(r)o e regalare oltre al diploma anche molta soddisfazione.

Così, di fronte alle prime difficoltà, ci si può anche scoraggiare e chiedersi ‘ma cosa studio a fare?’, ‘perché sono qui a imparare tutte ’ste cose?’. E scoraggiandosi e perdendo di vista il motivo per il quale si sta facendo un percorso formativo, ci si deprime.

Ecco perché è molto importante che, nella scelta degli studi superiori, le famiglie non proiettino sui figli i loro sogni, ma, con l’ausilio dei consulenti dell’orientamento scolastico, facciano di tutto per capire cosa davvero interessa loro. E quindi li aiutino a concretizzare i desideri, mantenendo per bene i piedi per terra (ossia ponendo un occhio agli sbocchi effettivi) e gli occhi ben puntati agli obiettivi da raggiungere, ossia un diploma per poter accedere al mondo del lavoro. D’altronde, tanto per fare un esempio, proprio la formazione duale (un modello questo che ci è invidiato all’estero) è uno dei punti di forza del sistema educativo svizzero.

Ma forse – non siamo specialisti e la buttiamo lì così – anche il capitolo studenti non è altro che uno degli specchi di equilibri di vita fragilizzati, che la frenesia della società del ‘tutto, tanto e subito’ produce perdendo di mira il valore intrinseco delle cose. Nella fattispecie quello dell’acquisizione della conoscenza.

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