Commento

Minacce di morte: che sta succedendo?

Ormai per certuni la divergenza di opinione politica sembra dover giustificare gli appelli all’eliminazione fisica dell’opponente

Cartellone elettorale imbrattato a Canobbio
16 luglio 2019
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Un paio di scriteriati (di destra) hanno pubblicato minacce di morte all’indirizzo dell’ex-Consigliere federale Joseph Deiss sulla pagina dei Giovani Udc svizzeri (che se ne sono fortunatamente distanziati, non avendo però moderato per tempo i post che pur sapevano di suscitare con il loro duro commento). Minacce di morte a un “traditore della patria” che ha solo osato affermare che la Svizzera difenderebbe meglio i suoi interessi dentro l’Ue che fuori. Lo stesso giorno altri scriteriati, di sinistra stavolta hanno scritto sui muri a Bellinzona che Norman Gobbi dovrebbe finire sottoterra (a Canobbio in aprile scrissero “a morte”), solo perché applica – con i pochi strumenti di cui il Cantone dispone – la legge federale sull’asilo (che ho votato in Parlamento, quindi dovrei morire anch’io…). Non condivido l’opinione di Deiss e l’ho detto subito pubblicamente: l’Ue è diventata, dopo la svolta imposta dalla Commissione Delors nel 1985-95 e culminata nel Trattato di Maastricht del 1992, un’istituzione fortemente centralizzatrice nella quale i piccoli Paesi avranno sempre meno da dire (come lo stesso Parlamento europeo, d’altronde) e nella quale la Svizzera e la sua democrazia diretta non possono trovare posto. Nemmeno condivido tutte le posizioni di Norman Gobbi: molti avranno percepito ad esempio il mio riserbo nei confronti delle misure di controllo che intendeva imporre negli stadi di hockey, questione nel frattempo fortunatamente risolta in modo consensuale dalla Lega nazionale.

Sono però sconvolto da questo degrado del dibattito politico nel nostro Paese. Siamo ormai lontani dalla citazione (apocrifa) di Voltaire, secondo cui “Non sono d’accordo con quanto dite, ma mi batterò fino alla morte perché possiate dirlo”. Anzi, ormai per certuni la divergenza di opinione politica sembra dover giustificare gli appelli all’eliminazione fisica dell’opponente, neanche fossimo nella Cambogia di Pol Pot. Io stesso, solo per aver affermato in un’intervista Tv che non fumo e sono favorevole alla protezione dei giovani dal tabacco ma contrario a un divieto generalizzato di pubblicità per un prodotto finché sarà legalmente in vendita (opinione personale e contestabile), sono stato sommerso da e-mail assassine, nei quali venivo trattato peggio di un aguzzino di Auschwitz…

Mi chiedo dunque dove stia scomparendo la cultura del dialogo e del dibattito politico in Svizzera, Paese di eccelsa democrazia nel quale il confronto civile di opinioni è sempre stato fondamentale per costruire soluzioni di compromesso capaci di raccogliere alla fine un largo consenso. Non è questa la Svizzera che amo e per la quale mi sono battuto vent’anni in Parlamento! Anche perché “ideas have consequences”, e dalle parole c‘è purtroppo sempre qualche fanatico che passa ai fatti. Lo abbiamo appena visto con l’assassinio politico del presidente Cdu di Kassel, Walter Lübke, in un Paese pur civilizzato come la Germania. Lo avevamo visto nel 2016 in Inghilterra, culla della moderna democrazia, con l’uccisione della parlamentare laburista Jo Cox, rea di opporsi al Brexit. E potremmo purtroppo continuare la lista.

Vogliamo accettare passivamente anche in Svizzera queste minacce di morte per “delitto d’opinione” e questa triste evoluzione della società moderna facilitata dall’anonimità delle reti (a)sociali, o vogliamo reagire ribadendo con forza l’affermazione attribuita a Voltaire: “Non sono d’accordo con quanto dite, ma mi batterò fino alla morte perché possiate dirlo”?

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