Commento

Inter a Lugano, un affronto alla passione

Alla retorica del calcio che non è più solo sport, bensì anche e soprattutto business, siamo ormai abituati, perché ce l’hanno inculcata a suon di esempi

L'Inter a Cornaredo... da lontano (Ti-Press)
12 luglio 2019
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Alla retorica del calcio che non è più solo sport, bensì anche e soprattutto business, siamo ormai abituati, perché ce l’hanno inculcata a suon di esempi. Ultimo dei quali, l’Inter in ritiro a Lugano, paravento tecnico-sportivo dietro al quale si celano interessi economici di un’ampiezza che a noi comuni mortali sfugge, per le cifre che muove. Indietro non si torna, e per andare avanti senza farsi il sangue amaro ripensando al “si stava meglio quando si stava peggio” che lascia il tempo che trova, tanto vale farsene una ragione: sono questioni commerciali e mercantili a gonfiare i palloni, a volte a dismisura, fino a farli esplodere. Sono logiche economiche a imporre le regole del mercato, del merchandising, della gestione di società le cui proprietà sono sempre più riconducibili a fondi di investimento internazionali, sempre meno identificabili con patron o famiglie di riferimento, come fu il caso – quantomeno nella vicina Italia – fino a un paio di lustri or sono.

Il calcio, però, per fortuna, è anche tifo, appartenenza, rivalità, passione... L’ambito che il pallone riesce a scuotere è quello dei sentimenti, delle pulsioni, a volte esacerbate, in nome o per effetto dei colori di una maglia, sacri e inviolabili. Il tifoso è vulnerabile, debole, quando si tratta della squadra del cuore. Farebbe carte false per un autografo, un ‘selfie’, anche con l’ultimo della rosa della sua squadra del cuore. Va bene anche una riserva, purché i colori siano quelli giusti. Le società di calcio italiane, questa passionaccia un po’ malsana la sanno cavalcare. I ritiri estivi, solitamente in altura, dove per lo più si corre e si suda, senza smarrirsi in lezioni di tattica per le quali si entra nel vivo a ridosso del campionato, diventano delle feste popolari che coinvolgono la comunità che ospita e il codazzo di appassionati che sceglie di trascorrere qualche ora o qualche giorno a stretto contatto con i propri beniamini. I quali vengono poi presentati in una serata dedicata, in piazza, con tanto di casacca fresca di stampa, in vendita dal giorno dopo nella boutique itinerante che staziona a lato del campo su cui la truppa si allena. A prezzi, manco a dirlo, esorbitanti, per il pezzo di stoffa sintetica che è. E funziona pure, il trucco. I tifosi, ingordi, si accalcano, spendono fior di quattrini e fanno da cornice a scatti e diagonali, applaudendo le prime partitelle a ranghi misti.

Non a Lugano, però. L’Inter è ‘off limits’, vietata, nascosta. Con un’unica piccola concessione a pochi rappresentanti degli Inter Club estratti a sorte, per la sessione di domani. Del resto, dicono, ‘siete tutti invitati alla festa finale, l’amichevole contro il Lugano. Invitati? Sì, a pagare il biglietto d’entrata. Dopo aver cercato per giorni un contatto che la società nerazzurra ha negato, trincerandosi dietro a teloni e grate, sia mai di svelare al mondo i segreti della nuova Inter di Antonio Conte.

Passi per le logiche commerciali che stanno alla base della scelta della sede del ritiro, legittime e al passo con i tempi, ma sottrarsi alla vista negandosi alla passione di chi per due colori accostati stravede (e spende), è un affronto bello e buono.

Del passaggio dell’Inter a Cornaredo serberemo il ricordo dei cartelli con il divieto di accesso. E sapremo che se Conte non riporterà il titolo a Milano dopo nove anni, sarà per colpa di quei 200 fortunati estratti a sorte che hanno assistito alla seduta ‘aperta’ di sabato 13 luglio: hanno distratto i ragazzi.

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