DISTRUZIONI PER L’USO

Due minuti d’odio, fra Orwell e Trump (e noi)

Sermoncino scritto dopo la rilettura di ‘Costruire il nemico’ di Umberto Eco

22 giugno 2019
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Nel ‘1984’ di George Orwell, la popolazione viene regolarmente riunita per i ‘due minuti d’odio’: un rito collettivo nel quale si viene spinti a dare in escandescenze contro la “magra faccia da ebreo” di Goldstein, il Nemico del popolo. Ultimamente si direbbero piuttosto frequenti, questi riti di rappresentazione e di aggressione.

Un esempio recente: il discorso con il quale Donald Trump ha annunciato la sua ricandidatura alla presidenza, in Florida. Appena mascherato da qualche musichetta country-pop, l’odio della folla urlante ‘iuesséi iuesséi’ è stato scatenato sistematicamente contro gli immigrati “che si riversano sul confine con le loro droghe e le loro malattie”, contro i liberal, i media, le potenze straniere. E giù fischi. Analogo rituale si consuma nella comunicazione dei nazionalisti di mezz’Europa, anche se sarebbe scorretto guardare solo a destra. Perché d’accordo, i Salvini e i Farage sono insuperati maestri nel fomentare il metus hostilis, e pure fogliastri e portalini nostrani non scherzano; ma anche a sinistra, per reazione uguale e contraria, si registrano episodi di facile esaltazione collettiva, ad esempio contro il leghista brutto e cattivo, contro gli Amerikani-con-la-kappa o il perfido finanziere di turno. Dopo tutto, come notava Umberto Eco una decina di anni fa, avere un nemico è addirittura normale e ci passiamo tutti: “è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro”.

Costruire il nemico

Antica come l’uomo – per quanto deplorevole – è anche quella che Eco definisce la tendenza a ‘costruire il nemico’, a farne un golem impastato col fango e lo sputo degli stereotipi, una bambolina vudù da trafiggere con gli spilloni dei propri pregiudizi. Gli esempi che fornisce spaziano dalla voce ‘Negro’ dell’‘Encyclopaedia Britannica’, prima edizione del 1798 – “i vizi più noti sembrano essere il destino di questa razza infelice: ozio, tradimento, vendetta, crudeltà, impudenza, furto…” –, fino all’“irto, increscioso alemanno” contro il quale Giovanni Berchet esortava i lombardi a “puntare la spada”; dai bassorilievi romani che rappresentavano stranieri barbuti e camusi alla manzoniana caccia all’untore. Si potrebbero aggiungere casi più recenti, come i “finti migranti con lo smartphone” o la leggenda nera su George Soros, rigonfia di allusioni antisemite.

Perché quando si raggiunge il punto più psicopatico del rapporto col nemico – i ‘due minuti d’odio’, appunto –, si può perfino arrivare a inventarsi un antagonista che non esiste, se non nel nostro immaginario distorto. Così la scollatura fra i fenomeni reali e la loro rappresentazione mentale è abissale, e nell’immaginario collettivo cose come la ‘sicurezza percepita’, l’‘economia percepita’ e l’‘immigrazione percepita’ non hanno quasi nulla a che vedere con la realtà.

Né santi, né poeti

Il problema della costruzione del nemico, irrorata dal veleno dell’odio, pone allora per ogni epoca lo stesso interrogativo: come la si supera? Eco suggerisce che “l’istanza etica sopravviene non quando si finge che non ci siano nemici, bensì quando si cerca di capirli, di mettersi nei loro panni. Cercare di capire l’altro significa distruggerne il cliché, senza negarne o cancellarne l’eredità”. Poi però mette le mani avanti: “Siamo realisti. Queste forme di comprensione del nemico sono proprie dei poeti, dei santi e dei traditori. Le nostre pulsioni più profonde sono di ben altro ordine”.
E allora cosa dobbiamo fare noialtri che non siamo né santi, né poeti (traditori, chissà)? Certo, sarebbe anzitutto dal buon giudizio della politica che ci si dovrebbe aspettare una soluzione: in fondo il suo ruolo migliore è quello di risolvere le divisioni sociali e culturali, non di fomentarle. Ma aspettarsi qualcosa dalla ‘politica’, come se essa stessa non dipendesse da noi, mi è sempre parso un modo di buttare la palla in tribuna.
Poi anche in questo caso sarà meglio essere realisti. Creare nemici immaginari è più facile che affrontare quelli reali, e non da oggi: almeno nel breve periodo, permette di sostituire il ‘fare politica’ nel senso nobile e spossante del termine – quello che fissa e persegue risultati reali – con una campagna elettorale permanente. Così spuntano ogni giorno nuovi nemici, con l’efficienza di una catena di montaggio: se non è il nero è il giallo, se non è il professore è il presentatore tivù, se non è il radar è il 5G. Ross Douthat, opinionista conservatore del ‘New York Times’, le chiama “controversie disegnate algoritmicamente per smantellare il Paese” (il riferimento all’algoritmo allude al fatto che questo procedere per antagonismi funziona benissimo sui social. Ma non solo lì).

Anche noi

Il boccino, alla fine, torna sempre nelle mani degli individui. Però sarebbe un po’ pavido dire: devono cavarsela da soli, si arrangino. Fra i millemila corpi intermedi che a quegli individui hanno il dovere di parlare – partiti, sindacati, associazioni – ci sono anche i mezzi d’informazione. Per quanto paternalistico possa sembrare, anche due righe d’inchiostro su un giornale locale contribuiscono a decidere la questione: magari non riusciranno mai a educare nessuno, ma a diseducare ci riescono benissimo. Così ogni volta che pompiamo un titolone – “terrore”, “tragedia”, “sangue” –, ogni volta che presentiamo come equivalenti due opposte opinioni senza verificarle, ogni volta che per fretta o per pigrizia facciamo da camera d’eco dei pregiudizi, nostri o altrui, contribuiamo a costruire un nemico. E perdiamo il diritto fin troppo abusato di appuntarci la medaglietta dei ‘professionisti’. La mia non vuole essere una lezioncina: di errori ne ho fatti tanti, e non c’è dubbio che ne farò ancora; poi ho i miei paraocchi. Ma magari il mea culpa può fungere da spunto di riflessione.

Io intanto vado un po’ in ferie. Nel frattempo, se qualcun altro volesse scrivermi i suoi pensieri sul tema, sarà il benvenuto (con buona pace di Nanni Moretti e del suo “no, il dibattito no…”). L’indirizzo giusto è lorenzo.erroi@laregione.ch. Buona estate.

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