Commento

Un matrimonio d'interesse

L'annunciata fusione tra Fiat Chrysler e Renault-Nissan è un tentativo di prolungare la vita ai 'dinosauri' dell'automobile

La sede di Detroit di FCA (Keystone)
29 maggio 2019
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L’annunciata fusione tra Fiat Chrysler e Renault-Nissan arriva in un momento in cui l’industria dell’auto sta vivendo un cambio di paradigma tecnologico e anche di mentalità da parte delle nuove generazioni, sempre meno attratte – soprattutto nelle grandi metropoli occidentali – da questo mezzo di trasporto. E il futuro non è dato solo dalla motorizzazione elettrica: guida autonoma e sharing economy (l’economia della condivisione) saranno i settori dai quali verranno i maggiori profitti e paradossalmente i grandi gruppi automobilistici stanno perdendo la sfida. I maggiori concorrenti in questi ambiti non sono infatti società industriali. I gruppi tecnologici noti con l’acronimo di Gafa (dalle iniziali di Google, Apple, Facebook e Amazon) sono diventati di fatto i nuovi padroni del vapore e questo a livello globale, spingendo e trasformando, obtorto collo, interi settori economici: dalla finanza alla comunicazione, passando per i consumi di massa; e anche l’industria dell’auto non è immune da questa spinta centrifuga. Saranno i Gafa a rivoluzionare la mobilità del futuro, travolgendo il settore automobilistico.

Le banche, per fare un esempio molto pratico, stanno diventando delle vere e proprie tech company governate da algoritmi, dove l’intensità di lavoro umano e di capitale fisso si sta riducendo sempre di più. Si stanno trasformando di fatto in strutture aziendali quasi eteree con margini di guadagno e tassi di redditività sempre più bassi, se confrontati con i risultati delle big di internet. Non c’è dubbio che oggi la rete delle filiali, sempre meno punto di contatto con il cliente, e la struttura informatica, basata su architetture chiuse, diventano vere e proprie palle al piede di un sistema che deve adeguarsi a una dinamica competitiva più simile al tech, fondata sull’uso intelligente dei dati. Nelle scorse settimane Banco Santander ha annunciato un piano d’investimenti da 20 miliardi di euro proprio per accelerare la trasformazione digitale nei prossimi quattro anni.

Lo stesso processo lo sta subendo il settore automobilistico, che è ancora – nonostante la delocalizzazione produttiva lungo una filiera che da decenni è globale – un’industria ad alto tasso di capitale fisso da rinnovare continuamente: ovunque si trovino, stabilimenti, macchinari e lavoro umano continuano a costare troppo e il ritorno per gli azionisti è ancora ritenuto troppo basso. Per restare a Fiat Chrysler, la stagione del defunto Sergio Marchionne può essere considerata come quella che ha risollevato le sorti del gruppo con operazioni più di finanza d’impresa che di strategia industriale. La vendita dei gioielli di famiglia come Magneti Marelli ha contribuito al ritorno all’utile e al pagamento (dopo oltre un decennio) di ottimi dividendi agli azionisti (la numerosa famiglia Agnelli). Sono mancate però l’industria e l’innovazione dei prodotti che si spera di recuperare con il matrimonio – solo sulla carta alla pari e senza esuberi – con Renault-Nissan. Nel frattempo il mondo è andato avanti. Altri si sono affacciati sul mercato con auto innovative. Uno su tutti è Tesla del visionario Elon Musk che ha puntato deciso sull’elettrico senza se e senza ma, non trovando per ora il conforto degli investitori che la stanno punendo oltre misura e ingiustamente in Borsa. Il mercato però è in crescita e la domanda di veicoli non inquinanti e ‘intelligenti’ alla Tesla non calerà solo perché i ‘dinosauri’ desiderano vivere qualche anno ancora. E pensare che nel 1980 proprio a Torino si era messa in produzione la Panda Elettra, troppo presto finita in un museo.

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