Commento

Aborto, la donna (ri)messa sotto tutela

Quando lo Stato decide per loro, anche quando l’argomento in tutto e per tutto concerne la loro vita, i loro principi, la loro coscienza!

17 maggio 2019
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La scelta di abortire è sempre una decisione grave che pesa sulla donna – e, quando c’è, visto che a volte si deresponsabilizza, anche sul partner – come un macigno. C’è in gioco non solo il futuro di chi decide di interrompere una gravidanza che non vuole (non può o non è in grado di affrontare), ma anche una vita che, per una scelta altrui, non verrà mai alla luce.

Fra le conquiste della donna (anche se parlare di conquista può non piacere a tutti) c’è appunto anche il diritto, entro determinati paletti sanciti dalle leggi dei diversi Stati, di permettere alle donne di abortire compiendo consapevolmente una tale scelta. Lo ripetiamo, una scelta che, visti i criteri medici, temporali e psicologici posti, non sarà mai superficiale. Anzi, sarà sempre meditata in modo approfondito anche con l’ausilio (obbligato) di specialisti.

L’America di Trump e quella di un fondamentalismo religioso (e dei movimenti ‘pro life’) che ripartono lancia in resta desiderano invece andare nella direzione opposta. Il senato dall’Alabama (controllato dai Repubblicani) ha infatti varato una legge che vieta alle donne di abortire, anche in caso di stupro o di incesto, punendo i medici che compiono tale atto con pene fino a 99 anni di carcere. Una sorta di ergastolo! Unica eccezione concessa al divieto di interruzione di gravidanza è solo se la vita della madre è ‘in serio pericolo’. Si tratta di un passo in più che si somma ad altri già compiuti – meno radicali ma pur sempre di inasprimento delle attuali leggi – che vedono Stati quali l’Ohio e la Georgia vietare l’aborto dal momento in cui si sente il battito cardiaco del feto, percepito di solito intorno alla sesta settimana.

Una decisione politica, che riattizza il dibattito mai spentosi sotto le ceneri, di cui sentiremo ancora parlare nei prossimi mesi, perché collide con sentenze giudiziarie che risalgono ormai al 1973, anno in cui nella vertenza ‘Roe contro Wade’, si sancì la legalizzazione dell’aborto su tutto il territorio degli Usa. Sentenza importante, di principio, quella di oltre 40 anni fa, che ora (a causa della nuova maggioranza conservatrice alla Corte Suprema) potrebbe venir ribaltata, lasciando liberi i singoli Stati di disciplinare come meglio credono la questione e riaprendo le ostilità sul tema.

Che la questione dell’aborto, lo ribadiamo, sia da affrontare piantando dei paletti, e nel contempo sostenendo in concreto chi sta per decidere affinché – se c’è il minimo spiraglio – opti per la vita è ovvio. Chiaro che tali decisioni, se la situazione della donna è difficile (economicamente e non solo), possono venir prese se e solo se lo Stato gioca la sua parte, che è quella di mettere a disposizione tutta una serie di aiuti molto concreti. Aiuti che devono considerare che un essere umano per crescere ha bisogno di sostegni (anche economici) che possono durare oltre una ventina di anni. Questa parte va rafforzata, non altre.

Imporre un divieto (persino in casi molto gravi come lo stupro o l’incesto) denota una mancanza totale di sensibilità nei confronti delle donne, che da soggetti di diritto vengono praticamente (ri)messe sotto tutela: è lo Stato che decide per te, anche quando l’argomento in tutto e per tutto concerne te, la tua vita, i tuoi principi, la tua visione, la tua libertà (che rima sempre con responsabilità) e, in definitiva, la tua coscienza.
Trump ha bisogno di voti. Spiace che li cerchi così.

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