Commento

Il Salone del libro è 'defascistizzato'. E il resto della società?

L’editore neofascista Altaforte è stato estromesso, all'ultimo, dalla fiera torinese. Ma è difficile cantar vittoria…

Immagine Salone 2019(MP5)
10 maggio 2019
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“Abbiamo vinto”. Così un collettivo di autori ha commentato la notizia dell’estromissione, a poche ore dall’apertura del Salone del libro di Torino, dell’editore neofascista Altaforte. Non l’hanno scritto, ma certo l’hanno pensato anche gli organizzatori della fiera che escono in maniera tutto sommato pulita da una polemica che rischiava di svuotare il Salone di significato e visitatori. Ma, a ben guardare, potrebbe dire di aver vinto anche Francesco Polacchi, il fondatore di Altaforte, che può atteggiarsi a martire dell’antifascismo, che già aveva definito “il vero male di questo Paese”. E vittoria può cantarsela pure il protettore istituzionale di Polacchi, quel ministro dell’Interno Matteo Salvini che non ha perso occasione per vaneggiare di roghi di libri.

Difficile capire, in questa intricata vicenda, chi abbia davvero vinto. Anche perché forse il Salone del libro è “defascistizzato” (come hanno rimarcato alcuni cartelli apparsi tra gli stand), ma fuori certe idee continuano a essere presenti e guadagnano sostenitori e sempre più spesso si incarnano in politiche discriminatorie e aggressioni. E questa è la prima lezione che dovremmo trarre: il vero problema non è che un editore di estrema destra stampi dei libri e li esponga a una fiera, cosa bene o male sempre accaduta; il vero problema è che questo editore non è più minoritario e gode dell’appoggio delle istituzioni, tanto da pubblicare un libro-intervista al già citato Matteo Salvini. Per cui ben vengano le pressioni agli organizzatori del Salone del libro affinché si rendessero conto che oggi non è più possibile trincerarsi dietro scuse come “non è nel programma ufficiale” e “siamo per la libertà d’espressione di tutti”. Ma i boicottaggi e le altre iniziative simili dovrebbero essere accompagnati da una seria riflessione su come si è arrivati a questo punto. Come è stato possibile il ritorno nel dibattito pubblico di ideologie razziste e totalitarie la cui condanna, per quanto forse solo a parole, pareva unanime? Come è accaduto che certi discorsi diventassero legittimi temi di discussione e di confronto?

Un discorso che non riguarda solo l’Italia, anzi: questo fallimento della società democratica – tutta, non è questione di destra e sinistra, di conservatori e progressisti – è quantomeno europeo. Ma è un dibattito che difficilmente si aprirà: troppo intenti a festeggiare la cacciata dell’editore fascista dal Salone del libro e a litigare se il merito vada a chi proponeva di boicottare la kermesse, a chi proponeva di andarci ma dando prova di valori antifascisti, ai movimenti politici moderati o a quelli radicali.

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