Commento

Capitale e lavoro esistono ancora

La sentenza vodese che riconosce i diritti sociali di un autista Uber licenziato potenzialmente potrebbe portare ordine in un settore deregolamentato

(Foto Keystone)
7 maggio 2019
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Quando l’innovazione tecnologica incontra la crisi economica e del mercato del lavoro, nasce la ‘gig economy’. Può essere sintetizzato così il ‘fenomeno dei lavoretti su chiamata’ via app, che hanno fatto la fortuna – letteralmente – di start-up d’oltre Atlantico. Alcuni corrieri o autisti di Uber sono chiari esempi di figure professionali all’interno della ‘gig economy’. Un vero e proprio trionfo dei ‘lavoretti’ che possono andare bene in una determinata stagione del proprio percorso professionale e formativo (guadagnare qualche franco quando si è studenti non è mai dispiaciuto a nessuno, almeno non al sottoscritto) ma che spesso sono diventati l’unica scelta economica per molte persone del mondo occidentale. Il fenomeno è cresciuto in modo sostanzioso negli Stati Uniti, per esempio. Vista la crisi del lavoro in ampie fette delle società occidentali, al momento tanti stanno cercando di sfruttare le opportunità occupazionali e di reddito, anche se molto saltuarie, offerte da siti, applicazioni e piattaforme web.

Uno dei problemi della ‘gig economy’ è la tutela dei lavoratori. Non essendoci veri e propri contratti, difficilmente chi presta la propria opera per queste società del nuovo mondo produttivo riceve lo status di dipendente con i conseguenti benefici pensionistici, contributivi e assicurativi del caso. È probabile che se questo fenomeno lavorativo dovesse crescere ancora – e gli analisti del settore sono molto propensi a crederlo – sarà fondamentale un tentativo di regolamentazione da parte di parlamenti e governi, ovvero cercare di riportare in canali e schemi classici (dipendente-datore di lavoro) questi rapporti di impiego. L’innovazione è data solo dal sistema di assunzione e di svolgimento delle mansioni. I rapporti di forza sottostanti sono sempre gli stessi.
Prima di allora, però, toccherà ai tribunali tentare di riportare ordine in settori cresciuti senza regole. In fin dei conti già oggi la legge, anche in Svizzera, distingue chiaramente chi è un lavoratore dipendente e chi invece è un indipendente. Quest’ultimo, per esempio, dovrebbe avere mandati da clienti diversi e non far dipendere il proprio fatturato da un solo mandante. È il caso del servizio di taxi Uber che è stato recentemente condannato da un tribunale vodese per licenziamento abusivo, riconoscendo a un suo ex autista lo statuto di salariato.

Prestando circa 50 ore di lavoro la settimana per il servizio di trasporto prenotabile via smartphone, la situazione reddituale del ricorrente non può in nessun modo essere paragonata a quella di un libero professionista perché dipendente in tutto e per tutto da quanto deciso dai gestori dell’app. Una sentenza storica, quella di Losanna, che se confermata dalle istanze giudiziarie superiori potrebbe mettere fine a pratiche al limite dello sfruttamento legalizzato e chiudere le falle di un sistema che lascia adito a troppi fraintendimenti.

Ciò implica che in futuro i conducenti di Uber, ma anche di altre piattaforme analoghe o che si basano sugli stessi principi, non saranno più considerati lavoratori autonomi, ma dipendenti a tutti gli effetti e per questo protetti dal diritto del lavoro. L’impatto su Uber potrebbe essere significativo, poiché imporrebbe al gruppo – almeno in Svizzera, anche se iniziative analoghe ci sono anche in Francia – di pagare i contributi sociali, di malattia, maternità e gli infortuni. Insomma, va bene l’innovazione tecnologica, ma i rapporti di forza tra capitale e lavoro rimangono sostanzialmente sempre quelli da duecento anni a questa parte. Il giorno in cui saremo tutti produttori e consumatori (imprenditori di sé stessi, come si dice) è ancora per fortuna lontano.

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