Commento

Il giornalismo e l’importanza dell’etica

La dimensione morale è una componente spesso essenziale del giudizio critico. Anche sui media.

Foto Ti-Press
26 aprile 2019
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Quando un giornalista o un giornale sollevano un problema etico (politico o economico), corrono spesso il rischio di essere tacciati di moralismo, brutta polemica per tiratura necessaria, parzialità manifesta, recita a soggetto per interessati occulti. Un complesso di cose, accompagnato anche da chiamate a giudizio e richieste di risarcimenti (quelli monetariamente ‘morali’), che può generare il peggio del giornalismo: quello di censura, autocensura, appiattimento, compravendita. Il giornalismo d’immagine corre persino maggiori rischi: sembra che un redattore del Telegiornale sia stato accusato con lettere minatorie di aver abbozzato un sorrisetto rilevando i cali elettorali dell’Udc nazionale; verificata l’immagine si è constatato ch’era immaginazione. L’episodio serve solo a rilevare un altro atteggiamento nei confronti del giornalista: si accetta ciò che conferma le proprie opinioni o non sconvolge i propri ‘desiderata’ (benché questo termine deriva dal latino de-sidera, mancanza di stelle); non si accetta o si vede male quando informazione, notizia, commento, contrariano la propria struttura mentale.

Premessa presa alla larga per dire che sarebbe peccato se il discorso sollevato sull’etica politica da questo giornale e dal suo direttore (fortunatamente non in immagine) ripreso poi per autodifesa o difesa da altri, rimanesse annientato dalla vicenda-elezioni. Non per rimestare ancora nel pentolone. Perché emergeva un tema fondamentale su cui o si svicola o si confondono le finalità.

Una prima pretesa che dovrebbe cadere è quella dell’immunità al giudizio sulla politica (vale anche per l’economia) da criteri che non sono politici (o economici). Non c’è soggetto, istituzione, sistema organizzativo, partito, che possa pretendere – come capita spesso nei confronti dei giornali – di essere ‘particolare’ o immune rispetto al giudizio morale delle coscienze o al giudizio formulabile a partire dall’etica pubblica di una società democratica. Affinché la facoltà di giudicare possa essere esercitata criticamente e dare così voce a una larga parte dell’opinione pubblica è innanzitutto necessario che resti attiva e vitale quella che chiamiamo appunto ‘etica’.

Solitamente l’etica è identificata con una serie di regole, di divieti, che limitano la libertà d’azione dei singoli per garantire il più possibile la convivenza civile. Giova quindi alla sopravvivenza della politica, alla sua credibilità (discorso analogo per l’economia). L’etica è però qualcosa di più.

Non solo una serie di regole o di procedure da rispettare, ma la qualità specifica della condizione umana, il legame che lega tutti, gli uni agli altri. Se cede è il crollo di tutto. La sua stoffa è quindi fatta di relazioni vitali e si costruisce sul ‘perché’ delle nostre scelte. Ci permette anche di metterci di fronte alle nostre contraddizioni, incoerenze, carenze. Allora non è un freno o la rovina, come alcuni si immaginano o rimproverano a chi suscita interrogativi etici (come un giornale, un giornalista), ma è energia. L’esperienza piuttosto triste degli ultimi anni dovrebbe indurci a mettere in atto ciò che potrebbe permettere questa continua vitalità (energia) etica, per una amministrazione pubblica, un’impresa, una collettività, il dibattito tra cittadini.

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