Commento

Il Sessantotto di Ratzinger

Inizio anni Novanta, il teologo Böckle promise di spendere tutta la propria voce per confutare i contenuti dell’enciclica ‘Veritatis splendor’

18 aprile 2019
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Si era all’inizio degli anni Novanta dell’altro secolo, e il teologo svizzero Franz Böckle promise di spendere tutta la propria voce per confutare i contenuti dell’enciclica ‘Veritatis splendor’ che papa Wojtyla stava allora redigendo.

Ci pensò Dio a tappargli la bocca: “Il buon Dio – ha scritto Joseph Ratzinger, oggi papa a riposo – gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì” prima della pubblicazione dell’enciclica, nel 1993.

Sta facendo molto discutere il lungo testo redatto da Ratzinger sul tema della morale sessuale nella dottrina cattolica, nel quale – hanno sintetizzato forse un po’ frettolosamente i media – l’emerito fa risalire al Sessantotto l’origine di un decadimento dei costumi al quale ricondurre la diffusione della pedofilia nella Chiesa cattolica.

Tutti (tanti, diciamo) a dargli addosso. Chi contestando l’assimilazione di un movimento di liberazione, anche, sessuale, alla morbosità e alle violenze inflitte ai minori.

Chi interrogandosi su chi può avere ispirato a Ratzinger una serie di banalità non all’altezza della sua fama di teologo, forse quel ramificato movimento reazionario che lavora al logoramento del papato vigente.

Chi chiedendosi se delle volte l’emerito non sia, con tutto il rispetto, un po’ andato.

Chi, infine, chiedendo se le sue dimissioni da papa, allora interpretate come atto di coraggiosa “umanizzazione” della figura del pontefice, non abbiano finito per dare luogo a una sorta di chiesa bicefala: con un papa in carica, esposto a venti e tempeste; e uno nell’ombra, a suo tempo custode della più dogmatica ortodossia e oggi libero di modi e favella. E fiero di affermare la sacralità della vita, ma non di tutte le vite: quelle dei teologi dissidenti un po’ meno…

Quanto ai fondamenti teologici e alla ricostruzione proposta da Ratzinger nel suo testo, non è lo scopo di queste righe indagarne plausibilità e opportunità. Se ne sono incaricate persone e intelligenze più titolate e dotate. Anche se non sfugge che la consegna del silenzio che si era dato lo stesso Ratzinger è stata violata da lui medesimo con un problematico crescendo di “presenza”.

Ha forse ragione Giannino Piana, teologo, a considerare la situazione ai vertici della Chiesa cattolica “ormai compromessa” dalla coabitazione dei due papi?

Chissà. E d’altra parte non è una questione liquidabile come affare interno alla chiesa, in tempi in cui crocefissi e gonfaloni recanti l’effigie della sacra famiglia vengono branditi come armi dalla peggiore politica.

Resta che anche a una certa distanza dall’altar maggiore le parole su Böckle uscite dalla bocca di un papa, benché emerito, anzi proprio perché usate da una figura idolatrata (strumentalmente?) da certo cattolicesimo, quello dei “valori non negoziabili”, suonano come una grancassa in mano a un percussionista esaltato.

Soprattutto se messe a paragone con quelle del suo successore che, pontefice fresco di elezione, a proposito dell’amore omosessuale (e pur mantenendo ferma la lettera della dottrina) se ne uscì con il celebre “chi sono io per giudicare ?”. Perché, si sa, una cosa è farsi un giudizio, altra farsi giudice. Come, visto che sono i giorni, insegnò quell’uomo messo in croce, rivolgendosi al ladrone condannato alla sua stessa morte. Così, almeno, abbiamo letto.

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