Commento

Aprendo le porte di una Casa

Arriva un momento in cui a un insegnante capita di rendersi conto che una buona parte dei ragazzi incontra grosse difficoltà

28 marzo 2019
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Arriva un momento, più presto che tardi, in cui a un insegnante capita di rendersi conto che una buona parte dei ragazzi usciti dalla scuola dell’obbligo incontra grosse difficoltà nel definire e strutturare un qualsiasi argomento di ricerca, rivelandosi poi ignara del fatto che il suo sviluppo non dovrebbe consistere nel copia e incolla di informazioni rintracciate in Internet. È questo un problema forse non nuovo ma che – in un’era in cui ricercare, approfondire e “leggere” sarà sempre più sinonimo di Google – ci pare destinato ad acuirsi, richiamando alla memoria le visioni distopiche sul futuro di film come ‘Idiocracy’ o, in forma un po’ più rassicurante, ‘Wall E’. In questo dato di realtà si annida, crediamo, una forma non proprio trascurabile di emergenza sociale. Verosimilmente non verrà risolta dalla scuola, pur affannandosi a mettere come può i libri e la lettura al centro dell’attenzione, figuriamoci da un’istituzione per certi versi non strettamente necessaria come una Casa della Letteratura.

Ecco, sabato a Lugano aprirà la prima Casa della Letteratura della Svizzera italiana. La sua esistenza non determinerà forse i destini dell’editoria di questa regione, tantomeno quelli della cultura, della curiosità, della volontà/capacità di lettura critica e approfondimento di qualsivoglia tema da parte dei suoi abitanti. Probabilmente, a frequentarla sarà soprattutto quel drappello di cultori della lettura che già ora, come adepti di una setta, compaiono regolarmente alle manifestazioni ad essa dedicate.

Eppure, questa Casa consacrata alle nostre parole, alla lingua “intesa come fondamento del pensiero e dell’agire sociale” (cit. dagli Statuti), potrà offrire il suo prezioso contributo, o contribuire alla strenua resistenza, affinché ai libri continui ad essere riconosciuto un ruolo centrale nella strutturazione del nostro pensiero e nella definizione del nostro agire, varco privilegiato per accedere a un altrove attraverso cui ridefinire il qui e ora, strumento di evasione dalle pastoie di un reale (e di un virtuale) involgarito, consegnato alle certezze, e alle superficialità, dei moderni pensieri forti.

Per riuscire in questo intento, con perseveranza e con leggerezza, una Casa crediamo debba rivelare mura solide e porte aperte. La solidità di chi si affida ai propri valori e – con rispetto per le proprie convinzioni, per la letteratura e per chi la frequenta – non viene meno al dovere della qualità, quindi alle scelte che esso impone, senza concessioni a quei compromessi dettati da opportunità, servilismi, debolezze o ignavia non sconosciuti a questa regione; l’apertura di chi non si barrica su posizioni ideologiche, non fa delle proprie certezze o del proprio gusto la Legge scolpita nella pietra, accoglie e dialoga con il diverso da sé, disponendosi davvero ad esplorare “tutte le istanze della parola parlata e scritta”.

Il progetto della Casa della Letteratura a Villa Saroli è stato sviluppato con passione da persone di cui, in vario modo, abbiamo potuto conoscere l’amore per la letteratura, oltre che la competenza ad occuparsene al servizio del prossimo. Notiamo però che il programma della giornata inaugurale, con il suo singolare protocollo “a invito” e la selezione degli autori chiamati a intervenire, non ci pare rispondere al meglio all’esigenza di apertura verso l’esterno che una Casa appena fondata, e che attende di essere abitata, dovrebbe coltivare.

Gli autori invitati a leggere le proprie opere (Fabio Pusterla, Alberto Nessi, Pietro De Marchi, Prisca Agustoni e Antonio Rossi) meritano tutti attenzione, questo non è in discussione. L’impressione, però, è che in un certo senso si somiglino troppo, o meglio che corrispondano ad un’idea piuttosto precisa di letteratura, che esclude troppe altre “istanze”: quelle di prosatori, saggisti, narratori per adulti o per ragazzi, che si affidano alle sole parole o le completano con immagini. Il rischio è che fin dal primo passo, simbolicamente essenziale – l’apertura delle porte – si definisca ciò che ha la certificazione per entrare e ciò che può restare fuori, o almeno attendere sul retro; ciò che è o non è letteratura, sulla base di presupposti che meriterebbero di essere approfonditi, o almeno di indurre a socchiudere una porta.

Forse, i copia-incolla del futuro si limiteranno anche accogliendo e sperimentando, in ogni Casa, linguaggi che sappiano essere significativi e attrattivi, che sappiano parlare a un pubblico di lettori, reali e potenziali, quanto più vasto possibile.

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