Commento

Che cosa c’è da ridere

7 marzo 2019
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”Mio nonno è morto ad Auschwitz”. “Povero, non sapevo”. “Già, era talmente sbronzo che è caduto giù dalla torretta dove montava di guardia”.

L’ho sentita davvero. In questi casi, qualcuno ride, qualcuno si imbarazza, qualcun altro si indigna. Qualcuno ne scrive, qui, rischiando di fare una predica. A Carnevale, poi.

Ecco, Carnevale. Anche quella finzione di “spazio di libertà” (ormai talmente istituzionalizzato da risultare stucchevole) è una spia più che affidabile dello stato in cui versano le nostre società. Libere di non avere memoria, e soprattutto di essere forti coi deboli.

Chissà, ad esempio, se quei buontemponi che si sono travestiti da membri del Ku Klux Klan al Carnevale di Svitto hanno mai sentito Billie Holiday cantare Strange Fruit, e se sanno che quegli strani frutti altro non erano che i corpi dei neri linciati e appesi agli alberi da gente che indossava identiche tuniche e cappucci, sfilava (e lo fa ancora, peraltro) con la stessa composta solennità. No, forse non l’hanno mai sentita cantare, “quella negra”.

Ma di sicuro la loro non era ingenuità. Sapevano che cosa stavano facendo: marciavano per rivendicare una supremazia razziale, bianca, con indosso la divisa degli assassini di centinaia di ex schiavi, reputandosi “protetti” dall’extralegalità riconosciuta alle manifestazioni carnascialesche.

Alcune delle quali godono persino dello status di “patrimonio immateriale” dell’umanità riconosciuto dall’Unesco. Come il Carnevale di Aalst, in Belgio. Anzi, nelle Fiandre e non è un dettaglio trascurabile. Domenica scorsa, nella sfilata che ogni anno attira decine di migliaia di spettatori, con spiccata originalità un carro raffigurava due ebrei ortodossi – naso adunco e cappellone di pelliccia – seduti su sacchi di denaro. Forse per ricordare a noi poveri illusi che il Novecento non ci ha vaccinati dai suoi mali. Persino compiaciuti, si può sospettare, che non vi sia riuscito.

Poi forse non c’entra niente il fatto che le Fiandre cullino formazioni di estrema destra che sono state di ispirazione a mezza Europa. Ma non deve essere una coincidenza, se nessuno ha avuto da ridire vedendo sfilare anche un gruppo giulivo di SS. Va bene: un gruppo mascherato da SS (per prendere in giro, si sono giustificati, i nazionalisti fiamminghi), ma a questo punto fa davvero differenza?

Mentre, in una forma un po’ più cialtrona e con minore consapevolezza (chiamiamola così) storica, nella sfilata di un carnevalino di cui l’Unesco ignora l’esistenza, a Formello, nei pressi di Roma, un carro rappresentava un finto barcone carico di finti migranti che reclamavano “vogliamo il wi-fi” e “no pago affitto”.

In questo caso, lontani forse dalle barzellette sugli ebrei ad Auschwitz e più prossimi a quelle “sì badrone”. Se non che entrambe portano allo stesso esito quando il Carnevale finisce e gli occhi non più ilari tornano di ghiaccio come quelli dei “nazisti dell’Illinois”; i barconi affondano, confermando che “la pacchia è finita”; e la politica riprende il suo corso.

Perché non si può accusare il Carnevale di colpe non sue, né confondere il sintomo con la patologia. Che è un misto di ignoranza e colpa. Non era ancora Carnevale, per dire, quando la sindaca di Roma Virginia Raggi (o chi le scrive i discorsi), a proposito della strage alle Fosse Ardeatine ha auspicato che “quei terribili errori del passato non si ripetano mai più”. Non informata, probabilmente, sulla differenza tra errore e crimine. Ma almeno nessuno ha riso.

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