Distruzioni per l'uso

Gli sms, le salsicce e la politica nell’ufficio di vetro

Fra messaggi discutibili, tatticismi elettorali e non-sapevo-nulla, non sempre le élite si rivelano all’altezza

(YouTube)
("Perché io so' io, e voi...")
2 marzo 2019
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Parola-torna-indietro. Ho cercato di difendere le élite, di sostenere che una società responsabile deve affidarsi a chi ne sa di più; che criticare è facile, ma le competenze dirigenziali non crescono sugli alberi. Ne resto convinto. Mettiamoci d’accordo, però: il discorso funziona solo con le élite che meritano d’essere tali.

Invece leggo di un megapresidente pubblico che promette incarichi di prestigio per sms: “Ti offriamo il primariato Cardiologia Eoc e altro. Ti basta chiedere uomini e mezzi di cui necessiti”. Sembra la classica macchietta del salumiere romano: ho fatto un etto e mezzo dotto’, che faccio, lascio? Eppure l’unica scusa è stata ritrarsi su Facebook con un vecchio telefono fisso: “mai più sms… lo giuro”.

Né rassicura uno sguardo più ampio ai problemi di gestione emersi in vari dipartimenti cantonali, spesso liquidati dai rispettivi referenti politici con un non-ne-sapevo-nulla (a essere severi torna in mente la lettera di Matilde Serao a Depretis, Anno Domini 1905: “Lei sa tutto del Paese. Deve, perché Lei è il Governo”.) Non va meglio se ci si sposta dall’amministrazione al confronto politico. Confronto che riduce la responsabilità della cosa pubblica a sguaiate scenette da campagna elettorale. Così si assiste a schermaglie inconcludenti per ridurre il futuro salario minimo sotto la soglia indicata dal Tribunale federale, a litigate plateali e meschini sgambetti in nome di un franco all’ora. Oppure al congelamento del lavoro sulle borse di studio. O ancora a spossanti tira-e-molla su pensioni e rimborsi, con ovvio assist all’antipolitica. A un mesetto dalle elezioni, evidentemente, c’è chi la domanda “ma che figura facciamo?” non se la pone neppure. 

Tutti uguali?

Non sto dicendo che siano tutti così. Il problema è che certe condotte portano gli elettori a trarre proprio questa conclusione: tanto son tutti uguali, non cambia niente, ci ridono in faccia. Non è neanche un andazzo nuovo. A cambiare ultimamente, però, sono almeno due variabili che dovrebbero suscitare sudori freddi nelle dirigenze politiche.

La prima è una situazione economica divenuta stagnante e dicotomica, anche a prescindere dalle responsabilità locali: stagnante perché i mercati tradizionali nei quali lavora la maggioranza delle persone sono saturi; dicotomica perché le nuove dinamiche tendono a premiare solo una cerchia assai ristretta, dal dubbio impatto sociale. Col risultato che non si possono più ammansire gli elettori suonando la lira della crescita - novelli Orfeo tra le fiere – o fischiettando il ritornello dell’alta marea che bene o male solleva tutte le barche.

La seconda variabile impazzita riguarda la comunicazione, non più controllata dai canali tradizionali in modo piramidale (e forse un po’ paternalista): ora il malcontento trova sfogo immediato nelle relazioni di rete, che nell’illusione dell’orizzontalità favoriscono chi sa raccontarsi come ribelle. E dire che questa, per il Ticino, dovrebbe essere una lezione già mandata a memoria: è proprio ribellandosi ai “partitoni” tradizionali dei quali in realtà è una costola – il caso Sanvido lo dimostra bene – che si affermò la Lega, cavalcando il qualunquismo attraverso sotterfugi mediatici (l’invenzione di un domenicale usato come un manganello). 

Leggi e salsicce

Il mio non è il rimprovero dell’incendiario, ma del pompiere: d’altronde anche a rimpiangere la democrazia rappresentativa, ormai, ci si ritrova fra i conservatori. Sic transit. Spero solo che i partiti sappiano cosa stanno rischiando, in tutta questa esibizione di sfacciato menefreghismo. Ovvero l’ascesa di arruffapopolo sempre più intransigenti, spregiudicati, capaci di gettare il bambino della democrazia insieme alla sua acqua sporca. Una volta si diceva che i partiti ‘storici’ sapevano ‘fare sistema’, chiudendo fuori i corpi estranei e imponendo una visione di lungo periodo. Anche quel consociativismo – ­ con le sue barriere all’ingresso e i suoi opachi meccanismi di cooptazione – ha fatto il suo tempo: inutile idealizzare il passato. Ma la crisi di quel modello non ha generato una più solida alternativa.

Forse bisognerebbe ripensare i meccanismi di reclutamento, per non dovere rimpinguare le proprie fila con chi è finito lì quasi per sbaglio, o perché altrove non lo volevano. E poi, piaccia o no, chi fa politica deve capire che ormai sta seduto in un ufficio di cristallo: se si mette le dita nel naso, prima o poi lo vedono tutti. Bismarck diceva che “meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi, meglio dormono”. E sia. Ma ormai perfino per le salsicce si trovano i tutorial su YouTube.

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