Commento

Si fa presto a dire ebreo

‘Quando sentite parlar male degli ebrei, aprite bene le orecchie, stanno parlando di voi’.

20 febbraio 2019
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Questa volta è toccato ad Alain Finkielkraut. È probabilmente vero che se a prendersi dello “sporco ebreo” da un gruppetto di gilets jaunes fosse stato un anonimo passante con in testa una kippah, e non un filosofo amato dalla destra e di casa negli studi televisivi e sulle colonne dei principali giornali, l’episodio sarebbe stato liquidato in poche righe come una conferma della crescita (del 74% nel 2018) dell’antisemitismo in Francia. La notorietà della vittima dell’aggressione verbale ha invece originato una catena di interventi e un moto collettivo di sdegno, non si capisce bene però se rivolto ai gilets jaunes o all’antisemitismo. Né si capisce quanto le reazioni siano state una sorta di riflesso condizionato o se sia prevalso (a sinistra) quel retropensiero che fa dire (o, prudentemente, pensare) no all’antisemitismo, “ma”… Tanto che su alcuni siti d’informazione “alternativi” si è arrivati a insinuare che Finkielkraut se la sia andata a cercare per creare un caso. Di più: pronti, i media “tradizionali” e quelli secondo i quali criticare Israele è certificato di antisemitismo hanno indagato sull’identità dell’esagitato che insultava Finkielkraut, scoprendo che si tratta di un “radicalizzato”. Per fortuna c’è sempre un islamico a cui dare la colpa.

L’abbiamo presa molto alla larga, è vero. Ma è perché l’antisemitismo ha innumerevoli volti, e non sempre riconoscibili. E solo di una cosa si può avere certezza: che nessuna espressione come l’antisemitismo è un indice preciso del male di cui soffre una società, è il termometro della febbre che la debilita. Ma anche su questo bisogna cercare di essere onesti, nel senso che nel definire l’antisemitismo sintomo di un male potrebbe esserci un fondo assolutorio, autoassolutorio, quello che trascura e si ostina a negare che proprio l’antigiudaismo è una componente storica innegabile della cultura europea (nelle sue espressioni laica e religiosa), compresa quella di quanti si riempiono la bocca con le “radici giudaico cristiane”, presumendone una superiorità sulle altre.

Dunque si capisce come sia facile alimentare le bocche più grezze e le teste più vuote di questo alimento tossico. L’immagine dell’ebreo banchiere, speculatore (il deicida è in ribasso a causa della secolarizzazione delle società), di dubbia lealtà patriottica è una moneta sempre spendibile. Tanto più in circostanze storiche nelle quali non si danno più solidarietà collettive (di classe o di ispirazione ideale) ma rabbia e intolleranza informi, talmente diffuse da parere collettive.

E, di nuovo, sarebbe ben ingenuo attribuire le permanenze dell’antisemitismo alle sole masse incolte, alla mercé di demagoghi spregiudicati. L’antisemitismo ha domicilio anche ai vertici istituzionali di molti paesi; è la clava in mano a governi autoritari e a politici in difetto di intelligenza: dal premier magiaro Orbán, che seguita a denunciare un complotto ordito da George Soros, miliardario ed ebreo, per imbastardire l’Europa; alla miseria di un altrimenti sconosciuto senatore 5Stelle Elio Lannutti, che non trova di meglio che evocare ‘I protocolli dei Savi di Sion’, per attaccare le banche. Giusto per dirne due. Un clima di cui fa un uso spregiudicato anche la destra al governo in Israele, quando invita gli ebrei di Francia a “tornare a casa”, cioè in Israele, quasi che milioni di ebrei non siano da secoli a casa in Europa, non siano essi stessi Europa.

Si fa presto a dire ebreo. Più tempo occorre a capire che cosa si sta dicendo. Lo ricordava Frantz Fanon, l’autore del capitale ‘I dannati della terra’, rivolgendosi agli antillesi: “Quando sentite parlar male degli ebrei, aprite bene le orecchie, stanno parlando di voi”.

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