Commento

La congiuntura europea volge al brutto tempo

La dinamica economica sta rallentando in modo inatteso in Germania e Italia. E sull sfondo c’è la crisi Usa-Cina con lo spettro di una Brexit disordinata

Un addio complicato e non indolore tra Londra e Bruxelles (Keystone)
9 febbraio 2019
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E alla fine la gelata è arrivata. Non si tratta ancora di una vera e propria recessione – nel senso di un netto calo dell’attività economica con conseguente e repentino aumento della disoccupazione –, ma la crescita del Pil sta rallentando nelle principali economie continentali (Svizzera compresa) e le previsioni non fanno pensare a un’inversione di rotta a breve. E non può essere diversamente con i chiaroscuri che ci sono tra Stati Uniti e Cina sulle controversie commerciali e l’imminenza di una eventuale Brexit non governata. L’ottimismo di imprese, lavoratori e consumatori non può certamente prevalere in condizioni simili: i primi rinviano decisioni d’investimento, mentre i secondi procrastinano gli acquisti di beni e servizi.

Per quanto riguarda l’Unione europea nel suo insieme, per l’anno appena iniziato, Bruxelles ha tagliato le stime di crescita all’1,3%, dall’1,9% di soli tre mesi fa. Un taglio importante di 0,6 punti percentuali che non è certamente foriero di buone notizie visto che i prossimi due mesi saranno cruciali per chiarire i rapporti tra Pechino e Washington (il 1° marzo scade la tregua sull’escalation dei dazi decisa durante il G20 argentino) e quelli tra la Gran Bretagna e l’Ue (con o senza accordo, dal 29 marzo Londra non farà più parte del Mercato comune europeo).

Tra le economie con la perdita di velocità più elevata ci sono Germania e Italia, rispettivamente primo e secondo part­ner commerciale della Svizzera. Per la Penisola il taglio della stima del Prodotto interno lordo è di un punto percentuale secco. Solo a ottobre scorso si stimava ancora un +1,2%. Quasi analogo il calo per la Germania: dall’1,8 all’1,1%.

Tra le motivazioni di questo rallentamento, per l’Italia la Commissione Ue individua – citiamo – un’accresciuta incertezza di policy globale e domestica e una prospettiva degli investimenti molto meno favorevole. Traduzione: la responsabilità è del nuovo governo in carica dalla scorsa estate (sette mesi) che ha, nell’ordine, ingenerato paure negli investitori internazionali sulla solvibilità del debito pubblico; fatto retromarcia sulla strada delle riforme sociali (pensioni e reddito di cittadinanza) e abbandonato il perseguimento di politiche fiscali prudenti (rapporto deficit-Pil oltre il 2%). Tutti fattori che in Germania, evidentemente, non si sono verificati ma che non hanno impedito, per esempio, un calo della produzione industriale per quattro mesi consecutivi. A dicembre il valore della produzione infatti è diminuito dello 0,4%. Su base annua e depurata dall’effetto dei giorni lavorativi, si è registrato un vero e proprio crollo della locomotiva manifatturiera tedesca: -3,9%. Cosa è successo, quindi? Semplicemente che a livello mondiale, come segnalato da varie istituzioni, il ciclo economico sta cambiando. Dopo un periodo più o meno lungo di crescita – sostenuto anche da eccezionali politiche monetarie – che ha permesso di uscire faticosamente dalla crisi di dieci anni fa, si sta tornando indietro anche a causa di mutate condizioni geopolitiche: le tensioni tra Cina e Usa sui dazi causano degli effetti collaterali per le economie europee. Ed è la domanda estera, parte essenziale del Pil assieme a consumi interni, spesa pubblica e investimenti, che in questo periodo sta rallentando. E in una fase ‘semirecessiva’ come l’attuale quel governo – di qualunque colore politico – che interverrà deprimendo consumi e spesa pubblica (più tasse e meno spesa) non farà che aggravare la situazione economica. Ma siamo certi che a Bruxelles queste cose le sappiano.

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