Commento

Il valore di un solo uomo

Il caso di Andrea Orcel, manager di Ubs e Ceo mancato della spagnola Santander perché sarebbe costato troppo

Andrea Orcel, già responsabile dell'Investiment banking di Ubs (Keystone)
18 gennaio 2019
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A cadenza regolare le remunerazioni e i bonus stellari di pochi manager attirano l’attenzione dell’opinione pubblica. Nei giorni scorsi, per esempio, ha suscitato un certo clamore la notizia che il Ceo designato del Banco Santander, Andrea Orcel, sia stato ‘licenziato’ ancora prima di entrare in carica a causa dell’esosità del bonus d’entrata preteso e pari – secondo i bene informati – a oltre 50 milioni di euro (56 milioni di franchi). Orcel, lo ricordiamo, è stato responsabile dell’investment banking di Ubs fino allo scorso autunno. Posizione che avrebbe lasciato – il condizionale è d’obbligo visto che formalmente è ancora un dipendente di Ubs – per approdare alla guida della banca spagnola Santander.

È uso nella finanza – chissà per quale strano motivo – che gli eventuali emolumenti o parti del salario variabile promessi dal precedente datore di lavoro e non ancora maturati a causa del ‘divorzio’ anticipato, vengano anticipati dal nuovo datore di lavoro. Una prassi che ricorda per certi versi il calciomercato: lo svincolo del cartellino di un calciatore è pagato da chi vuole ingaggiare la star. Nel caso di Orcel, all’ultimo momento la presidente di Santander, Ana Botín, ha fatto sapere che ‘l’ingaggio del manager di talento’ non ci sarà a causa “del costo davvero significativo” che la banca avrebbe dovuto pagare “per assumere un singolo individuo”, compensando la perdita di una significativa porzione della sua remunerazione dei precedenti sette anni”. A seguito di approfondimenti degli ultimi mesi è emerso che la somma da pagare “sarebbe stata significativamente superiore alle aspettative originali al tempo della nomina e inaccettabile per una banca retail e commerciale come Santander”. E anche per gli azionisti, aggiungiamo noi. Ne sanno qualcosa gli azionisti di Credit Suisse che hanno dovuto pagare negli anni scorsi profumatamente e in anticipo il Ceo Tidjane Thiam per strapparlo dalla guida dell’assicuratore inglese Prudential Plc e contemporaneamente liquidare con una vagonata di milioni di franchi l’americano Brady Dougan i cui risultati aziendali non erano stati certamente brillanti.

La Costituzione federale svizzera contempla all’articolo 95 un capoverso – il terzo – frutto dell’accettazione da parte di popolo e cantoni dell’iniziativa ‘contro le retribuzioni abusive’ promossa negli anni scorsi da Thomas Minder, un imprenditore e consigliere nazionale non certamente di sinistra. L’iniziativa fu avversata in particolare proprio dalle grandi banche. Quella proposta è un modo, democratico e trasparente, per cercare di lasciare agli azionisti l’ultima parola in tema di bonus e remunerazioni dei manager. In particolare “per tutelare l’economia, la proprietà privata e gli azionisti (veri proprietari dell’azienda, ndr) e per garantire una conduzione sostenibile delle imprese”, la Costituzione prevede una serie di obblighi tra cui quello – per l’assemblea degli azionisti – di votare ogni anno l’importo globale delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, della direzione e dell’organo consultivo. Un modo per evitare che siano gli stessi manager a stabilire in modo arbitrario l’ammontare del proprio compenso.

La vicenda di Orcel ci riporta alla realtà dei fatti: comunque vada la sua carriera da qui ai prossimi anni, sappiamo che lo attende una liquidazione d’oro, sicuramente legale, ma moralmente inaccettabile per un solo individuo, per parafrasare l’affermazione della banchiera Ana Botín.

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