Commento

L'euro, una moneta senza Stato

A vent'anni dalla nascita unione monetaria europea, ci sono ancora tanti problemi irrisolti

(foto Keystone)
10 gennaio 2019
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L’euro incominciò a circolare fisicamente solo nel corso del 2002, ma risale al primo gennaio di 20 anni fa la sua nascita formale con il blocco dei rispettivi tassi cambio tra le precedenti 11 valute nazionali. Addio a franchi francesi, belgi, lire e marchi. Nel frattempo questo strano ‘calabrone’ (una moneta senza Stato) ha resistito, apparentemente superandola, almeno a una crisi esistenziale: quella greca di qualche anno fa e ora è la valuta di 19 Paesi europei.

Rispetto a due decenni fa, quando fu accolta in modo festoso da governi e cittadini, l’anniversario della nascita della moneta unica europea non scalda certo i cuori dell’opinione pubblica e soprattutto degli economisti che si dividono da sempre sulla bontà di un esperimento unico nel suo genere: una sola moneta per un’area economica disomogenea che va dai ‘rigorosi’ Paesi nordici a quelli ritenuti più ‘lassisti’ – dal punto di vista della finanza pubblica – dell’Europa mediterranea. Senza scomodare le teorie accademiche sulle aree valutarie ottimali degli anni 60 su cui si basa la nascita dell’euro, si può facilmente intuire che la nascita della moneta unica fu una decisione politica e non economica. Non tutti i Paesi pionieri dell’euro avevano i presupposti finanziari (conti pubblici in ordine) e i fondamentali macroeconomici (stesso livello d’inflazione, di disoccupazione, di tassi d’interesse e di perfetta mobilità dei fattori produttivi) adeguati al salto monetario. Eppure lo fecero. Ci avrebbe pensato la moneta unica a disciplinare i renitenti alle riforme in senso neo-liberale, si pensava. Al club degli 11 si unì un paio di anni dopo anche la Grecia che si era affidata alla esosa consulenza dei banchieri di Goldman Sachs per adempiere i requisiti richiesti dalla moneta unica. L’esito drammatico di quell’adesione è storia recente.

Il processo di avvicinamento al regime di cambi fissi – qual è l’euro – fu preceduto dalla crisi del Sistema monetario europeo del 1992 (ci si ricorderà dell’uscita burrascosa da quel meccanismo di cambi semifissi della lira italiana e della sterlina inglese e della bocciatura da parte degli elettori danesi del Trattato di Maastricht) e da una stagione di cambiamenti epocali a livello geopolitico (crollo del Muro di Berlino e dell’Unione sovietica). Insomma, si era un mondo in rapida evoluzione e la nascita di un’unica valuta per il mercato comune contribuiva a voltare una pagina di storia per guardare a un futuro radioso dal punto di vista economico e sociale. E le cose hanno funzionato più o meno bene fino al 2007: bassi tassi d’interesse per i Paesi ad alto debito e fine delle svalutazioni competitive.

Con lo scoppio della crisi internazionale, però, le contraddizioni nascoste alla nascita dell’euro sono venute al pettine: l’area valutaria immaginata non era assolutamente ottimale tanto che la crisi di una singola economia e la difficoltà d’intervento delle altre per limitare i danni hanno gettato più di un dubbio sulla solidità della costruzione europea di cui l’euro dovrebbe essere la famosa pietra angolare. I promotori della moneta unica presupponevano che i meccanismi che avrebbero dato solidità e soprattutto possibilità di governo alla zona euro (l’unione fiscale e bancaria) sarebbero stati una conseguenza della stessa moneta e non una premessa. Così non è stato tanto che le differenze tra economie forti (Nord Europa) e deboli (Mediterraneo) si sono ampliate negli anni per cristallizzarsi. Di fatto l’Europa a due o tre velocità è una realtà e senza riforme solidali (strumenti perequativi tra i diversi Paesi e una banca centrale prestatrice di ultima istanza) lo rimarrà a lungo acuendo la disaffezione dei cittadini alle sorti del progetto europeo.

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