Commento

Petite France, grande Europe: la Strasburgo pre-attacco

Massiccia presenza di forze dell'ordine ma controlli superficiali. Quadro in chiaroscuro della più europea delle città francesi a pochi giorni dalla sparatoria

Keystone
13 dicembre 2018
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È l’8 dicembre. A tre giorni dal doloroso attentato terroristico che la squarcerà (cfr. pagina 7), Strasburgo colpisce. Il freddo Avvento renano è reso ancor più pungente dalla massiccia presenza di polizia ed esercito, armati fino ai denti. Un dispiego emotivamente ambiguo: forze dell’ordine che per definizione garantiscono sicurezza, ma che allo stesso tempo ci ricordano che c’è un pericolo. Qualcosa che non va. A partire forse dai controlli: dall’ingresso nella maestosa cattedrale gotica agli accessi della città vecchia – teatro della sparatoria –, risultano superficiali e col senno di poi sicuramente inadeguati.

«Potrei portare dentro una bomba, non se ne accorgerebbe nessuno», commenta una donna in fila. La visita alla città inizia dal Museo storico. Un interessante percorso che termina col dopoguerra. Secoli di battaglie per una città di frontiera, passata da una vocazione militare a luogo simbolo della Pax Europea. Eppure, l’impressione è stata che mancasse un tassello della storia più recente. Il pezzo di un mosaico essenziale per comprendere il contrasto fra l’ovattato caldo museale e le gelide vie di una città che più che in festa sembra in guerra.

L’11 dicembre, per l’ennesima volta la Francia si è coricata impaurita. In lacrime. E con lei tutti noi. Perché il capoluogo alsaziano non è un posto qualsiasi. Nata come accampamento militare romano, Strasburgo ha assunto importanza dal Medioevo. Divenne francese sotto il Re Sole, a fine Seicento, restando estranea agli orrori delle guerre di religione e delle stragi di ugonotti: i calvinisti transalpini. Si mantenne quindi tollerante nei confronti del protestantesimo. Un’attitudine all’apertura verso le altre confessioni viva ancor’oggi: la città ospita la più grande moschea del Paese. Terra d’incontro fra cultura tedesca e francese, Strasburgo è frequentatissima dalle scolaresche, anche ticinesi. Con una tradizione che sembrerebbe risalire al Cinquecento, è inoltre meta d’obbligo per gli amanti dei mercatini natalizi. Elementi che contribuiscono a rendere la città familiare per molti di noi, anche solo per sentito dire. La Petite France – il caratteristico quartiere d’impronta medievale, parte del centro storico da trent’anni protetto dall’Unesco – è nell’immaginario collettivo, come lo sono le sue case a graticcio e le vie splendidamente ornate in questo periodo dell’anno.

Non è una metropoli Strasburgo, ma è la più europea delle città francesi e forse di tutto il continente. Un luogo dove tutti, anche noi svizzeri, ci sentiamo almeno un po’ a casa. Non è solo la sede dell’europarlamento, del Consiglio d’Europa o della Corte europea dei diritti dell’uomo. È soprattutto un perno vivente e pulsante dei sentimenti che hanno portato alla fondazione di queste istituzioni, oggi parzialmente in affanno e messe in discussione. Ideali che qui – in una regione contesa da Germania e Francia, tra i casus belli delle guerre mondiali –, diversamente da altrove, sono nati in maniera naturale. Tolleranza, condivisione, apertura, pacifismo: si sono sviluppati a Strasburgo come risposta logica e consequenziale alla sua travagliata storia. Per questo ha fatto male vedere la città pattugliata dai mitra lo scorso fine settimana e sempre per questo hanno fatto ancor più male le immagini di morte e paura trasmesse pochi giorni dopo. E il pensiero corre ancora agli ideali. E poi va alla radicalizzazione del giovane autore della sparatoria, così lontana da quelli che sono diventati valori europei. Non di una comunità economica e politica, ma lo spirito di un continente che una volta in più si trova ferito, forse impreparato, con tante domande. E con una città a far da faro nel buio.

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