Commento

Dopo i bimbi ecuadoriani espulsi... ci risiamo!

L'Ente ospedaliero chiede ai medici di violare, in certi casi, il segreto professionale?

12 dicembre 2018
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Ricordate il caso dei bimbi ecuadoriani scolarizzati nel Gambarogno e poi espulsi durante le vacanze dei Morti?

Il caso risale a qualche anno fa. Era il novembre del 2014, quando si innescò pubblicamente un braccio di ferro fra le istituzioni cantonali: da un lato c’era il Decs di Manuele Bertoli e, dall’altro, le Istituzioni di Norman Gobbi. Nel mezzo, a farne le spese, i più deboli: i bimbi-allievi ecuadoriani, che malgrado la ‘pecca’ di non esser ufficialmente domiciliati da noi, a detta dell’autorità comunale erano comunque ‘ben integrati e contenti’ a tal punto da ‘non creare problemi’.

Così si erano scontrate due visioni politiche: quella di chi alla testa delle istituzioni mirava (ed è poi riuscito) a fare rispettare la legge, perché quei bimbi (uno scolarizzato all’asilo e l’altro alle Elementari) non avevano le carte in regola, non andava quindi creato un precedente e andavano espulsi, loro e le loro famiglie; e quella diametralmente opposta, sostenuta dal Dipartimento dell’educazione di Manuele Bertoli, a tutela dei minorenni secondo le convenzioni internazionali.

Una sensibilità da noi presente sin dai tempi in cui – aveva ricordato in quel frangente l’ex capo Divisione scuola Diego Erba – “a livello istituzionale prevaleva un’etica ‘trasversale’ della salvaguardia dell’interesse dei più piccoli: il loro bene soprattutto e prima di tutto. Senza se e senza ma; e soprattutto senza argomenti pretestuosi con cui minare un diritto fondamentale anche solo astratto”. Quei tempi, a cui faceva riferimento Diego Erba, erano quelli degli stagionali italiani che risiedevano da noi per 4-5 mesi l’anno e che – pur non avendone il diritto – venivano raggiunti da mogli e figli. E i figli venivano scolarizzati anche senza le carte in regola. A prevalere era il diritto dei minorenni all’istruzione. E chi dirigeva le istituzioni non li scacciava, ma chiudeva semplicemente un occhio.

Se ricordiamo oggi quei fatti, terminati con l’espulsione degli ecuadoriani, decretando la preminenza del rispetto della legge voluto dal Dipartimento delle istituzioni rispetto alla prassi (e alle convenzioni internazionali) preferite dal dipartimento responsabile della scuola, è perché qualcosa di simile sta ripetendosi su un altro fronte. Quello della sanità, in seguito alla circolare inviata dall’Ente ospedaliero ai nosocomi cantonali, con la quale si invitano i medici a segnalare alle Guardie di confine e alla polizia (con cognome, nome, data di nascita...) chi si reca all’ospedale se fa parte di determinate categorie di persone. Quali? Beh, ancora una volta quelle prive di documenti, ‘presumibili’ richiedenti l’asilo, stranieri in transito o persone ‘sospette’ che si recano al Pronto soccorso, così da poter – continua la missiva – effettuare le verifiche/identificazione del caso, valutarne la situazione e assicurarne la corretta presa a carico/procedura’. Più chiari di così! La richiesta, formulata questa volta da un ente del Dipartimento della sanità e della socialità, ha già sollevato numerose reazioni critiche da parte dei medici e di alcune strutture sanitarie protetti dal segreto professionale a tutela dei pazienti sancito dalle leggi. Tanto che il deputato Matteo Quadranti si è chiesto in un’interrogazione se non si tratti di istigazione alla violazione del segreto medico indirizzata al personale medico e sanitario.

In ogni caso, la richiesta dell’Ente è rivelatrice di un ulteriore giro di vite nei confronti di chi non ha diritti, nell’esercizio di un diritto ancora una volta fondamentale che è quello dell’accesso alle cure. Così va il mondo? Se lo vogliamo, se non lo vogliamo no. Questione di scelta: ‘Etica first’, potremmo dire parafrasando lo stile di uno Oltreoceano che a dire il vero la considera piuttosto secondaria!

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