Commento

Philipp Plein, qui non è questione di stile

La vergognosa campagna per il 'Black Friday' pone lo stilista davanti alle sue responsabilità. Che sono (anche) sociali

Ti-Press
27 novembre 2018
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Abbiamo scritto a lei. A lei che risulta ‘taggata’ nell’immagine della campagna di Philipp Plein, supponendo sia la modella ‘uccisa’ dai ‘prezzi killer’ in occasione del ‘Black Friday’ nella vergognosa pubblicità proposta dallo stilista con quartier generale in quel di Lugano. Considerato che la donna in questione si definisce pure ‘Export manager, executive producer, public relation officer’ magari ha contribuito in altro modo alla ‘trovata’ pubblicitaria, e sarebbe ancora peggio. In ogni caso, non ci ha risposto, ahinoi. Peccato, perché sarebbe stato bello capire se mentre impazzavano i flash si poneva qualche domanda sull’etica della posa. Crediamo infatti che il boicotto invocato da molti debba iniziare proprio da lì, dalla donna che può cambiare le cose da dentro il sistema. E il movimento #MeToo insegna.

Sul web intanto è insorto non solo il popolo della rete coi commenti indignati sui social, ma anche chi ha sottoscritto la lettera aperta lanciata dal Coordinamento donne della sinistra e dal gruppo donne dell’Uss Ticino che chiede alla Città e al Cantone di intraprendere i passi necessari per far rimuovere le immagini. Poco importa se poi sul territorio luganese non sono state affisse: qui conta il messaggio, e bene fa il sindaco Marco Borradori a criticare lo stilista, che fra le altre cose assicura a Lugano e Canton Ticino importanti entrate fiscali. A ricordarlo è lo stesso Plein quando giustifica (via Instagram) la scelta delle fotografie: “Creiamo lavoro e paghiamo le tasse, di cosa vi lamentate, voi che di moda non capite nulla”, replica a chi lo critica. Infatti nessuno qui si lamenta dei teschi sui suoi capi o del fatto che una t-shirt saldata costi in media 400 franchi: per quanto incomprensibile a chi scrive, non sta a noi giudicare. La questione è un’altra: Plein sembra far finta di non sapere che chiunque trasmette informazioni al pubblico ha una responsabilità anche sociale. Lo sa invece, eccome se lo sa. Ma nel scegliere le immagini violente di questi giorni gli importano di più l’incasso e l’eco esorbitante che le sue mosse imprenditoriali gli garantiscono (quanti lo conoscevano fra noi comuni mortali prima che ordinasse quella pizza a tarda notte?). Ci sembrano dunque più che pertinenti le considerazioni del collettivo ‘Io l’8 ogni giorno’: “La pubblicità, così come altre forme d’informazione, continua a veicolare un’immagine distorta delle donne e degli uomini: donne seducenti sottomesse, uomini virili possessivi. Ma è tempo che le persone che trasmettono informazioni al pubblico si assumano la responsabilità del loro ruolo. È inaccettabile usare il dramma delle donne per vendere dei capi di abbigliamento. È vergognoso che la sofferenza di tante donne venga sminuita da un’immagine pubblicitaria”. La responsabilità non è questione di stile.

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