Commento

Il popolo riluttante non segue l'Udc

Quasi sette votanti su dieci hanno detto 'no' all'iniziativa per l'autodeterminazione. Un segnale al primo partito svizzero.

(Keystone)
26 novembre 2018
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A dispetto di quanto sostiene chi gli costruisce un altare, malgrado vi sia chi lo vorrebbe sopra (contro) tutto e tutti, il popolo svizzero nel recente passato ha dimostrato più volte – anche attraverso una partecipazione al voto che in media non raggiunge il 50%... – di non gradire che lo si carichi di eccessive responsabilità, né che lo si solleciti a ogni piè sospinto, tantomeno su oggetti complessi, astratti e/o che prefigurano salti nel vuoto. Nel 2013, ad esempio, il ‘sovrano’ non ha voluto saperne di accollarsi l’onere di eleggere il Consiglio federale; e l’anno precedente aveva affossato un’iniziativa popolare che chiedeva di estendere il referendum obbligatorio, quindi l’obbligo di essere consultato, a ogni trattato internazionale concluso dalla Svizzera.

Non sorprende più di tanto, dunque, che l’astratta e volutamente vaga iniziativa detta ‘Per l’autodeterminazione’ – trasformata dall’Udc nientemeno che in uno strumento per ‘salvare’ la democrazia diretta – sia stata respinta con quasi il 70 per cento di ‘no’ e da tutti i cantoni. Purtroppo non stupisce neppure che, anche ieri, meno di un avente diritto su due (partecipazione al voto: 47,6%) si sia sentito in dovere di dire la sua su un testo le cui implicazioni erano sì rilevanti, ma che tutti hanno ingigantito ad arte, facendone una questione di vita e morte per i diritti popolari (i promotori) o per i diritti umani (i contrari).

In Svizzera continueranno ad essere il parlamento e in ultima analisi i giudici a stabilire – volta per volta – se debba prevalere la Costituzione federale o il diritto internazionale nei casi (rari, fin qui) in cui dovesse verificarsi una contraddizione fra i due. Non ci sarà alcun rigido automatismo che detti la preminenza delle norme costituzionali su quelle di diritto internazionale. Gli occasionali conflitti continueranno ad essere risolti in maniera pragmatica. Ed è meglio così: per una questione di rispetto del principio di separazione dei poteri, delle prerogative costituzionali di ciascun potere dello Stato (non soltanto popolo e cantoni, appunto, ma anche esecutivo, legislativo e giudiziario); e perché tra l’altro ci risparmiamo il rischio di una figuraccia sul piano internazionale, evitando di lanciare al mondo (e a noi stessi) un segnale di isolamento del quale di questi tempi non si sente proprio il bisogno.

L’Udc ha voluto sferrare un altro attacco alle istituzioni. La congiuntura era piuttosto favorevole. Difatti il partito non si è fatto pregare, costruendo ad arte improbabili collegamenti tra la sua iniziativa e il Patto Onu sulla migrazione (sarà a giorni sui banchi del parlamento) o l’accordo quadro con l’Ue (il Consiglio federale deciderà venerdì cosa fare). Ma l’Udc, ancora una volta (era già successo nel 2016, benché in modo meno palese, con l’iniziativa per l’attuazione dell’espulsione dei criminali stranieri), non è riuscita a far breccia al di fuori del suo bacino elettorale, fermandosi poco sopra quel 30% che costituisce lo zoccolo duro degli aficionados. Non c’era il migrante, il criminale straniero o il minareto – bersagli che nemmeno una buona fetta dell’elettorato ‘moderato’ disdegna – contro cui sparare. E senza un nemico ben definito, il primo partito svizzero – che ieri ha incassato l’ennesima sconfitta alle urne in questa legislatura – non va lontano. Il chiaro ‘no’ non mette certo fine alle sue velleità sovraniste. Le prossime battaglie sono già programmate: quella, in corso, contro il Patto Onu sulle migrazioni; il referendum contro un eventuale accordo quadro con Bruxelles; l’iniziativa popolare per abolire la libera circolazione (si voterà nel 2020), infine. Ma i quesiti almeno saranno chiari, e non dovremo sprecare troppe energie solo per capire su cosa stiamo votando.

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