Commento

Argo 1: egregio pg, ci voleva una conferenza stampa

Il magistrato affida a un comunicato di otto righe – otto – le conclusioni della propria inchiesta. Alcune domande, per ora, senza risposta.

Il procuratore generale Andrea Pagani (Ti-Press)
20 novembre 2018
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Otto righe otto, compresa la solita frasetta finale: “Non saranno rilasciate ulteriori dichiarazioni”. Otto righe che non dissipano i tanti interrogativi che ancora la vicenda solleva. Il procuratore generale Andrea Pagani affida a una breve, brevissima nota stampa l’esito dell’inchiesta penale sui risvolti istituzionali del dossier Argo 1. La comunicazione dell’esito di questa importante indagine su un caso discutibile e discusso – che ha innescato polemiche in sede politica e accertamenti amministrativi, che ha portato il Gran Consiglio a istituire addirittura una Commissione parlamentare d’inchiesta – avrebbe invece meritato qualcosa di più di una manciata di righe. Avrebbe meritato una conferenza stampa.

I giornalisti, tenuti per mestiere a informare l’opinione pubblica, avrebbero così potuto chiedere al procuratore generale Pagani per esempio sulla base di quali elementi ha raggiunto il convincimento che non vi sono reati da imputare a funzionari ed ex vertici della Argo 1, incluso quello di infedeltà nella gestione pubblica. Reato, quest’ultimo, ipotizzato a suo tempo anche dall’avvocato ed ex magistrato inquirente Marco Bertoli, autore – dietro incarico del governo – della perizia dalla quale sono emerse alcune disfunzioni sul piano amministrativo legate al mandato assegnato nel 2014 (e rinnovato negli anni senza la necessaria risoluzione governativa) dal Dipartimento sanità e sociali alla ditta di sicurezza: la sorveglianza dei centri per asilanti. I giornalisti avrebbero potuto chiedere al pg Pagani, che in estate ha ereditato dal suo predecessore anche questo incarto delicato, a quale stadio si trovano gli altri procedimenti penali (eterni, verrebbe da dire) aperti dal Ministero pubblico sul dossier Argo 1. Avrebbero potuto chiedere se la tesi accampata dall’ex responsabile operativo della ditta, attraverso ‘Il Caffè’, quella cioè di essere vittima di un complotto, abbia qualche riscontro nelle carte penali. Queste e altre le legittime domande che si sarebbero potute porre al magistrato, se vi fosse stata una conferenza stampa. E che avrebbe dovuto essere indetta data l’importanza del caso, anche quando si prospettano decreti d’abbandono.

Siamo ora in trepidante attesa di conoscere le conclusioni politiche della Commissione parlamentare d’inchiesta. Su queste e più in generale sul rapporto della Cpi ci sarà un dibattito – pubblico – in Gran Consiglio. A meno che il parlamento non finisca per optare per una seduta a porte chiuse, senza streaming, e rilasciando un comunicato di otto righe otto alle redazioni e dunque ai cittadini.

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