Commento

Il porto sicuro ritrovato

I risparmiatori italiani stanno riscoprendo le virtù della piazza finanziaria ticinese

Scomparo il segreto bancario, restano altri atout importanti (Ti-Press)
9 novembre 2018
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Che ci sia fuga dal rischio-Italia non è un fatto nuovo. Dal 2011, dall’apice della crisi denominata erroneamente del debito sovrano, per intenderci, i capitali finanziari italiani hanno preso la via dell’estero. La misura è data dal Target 2, l’indicatore delle banche centrali nazionali del cosiddetto ‘eurosistema’. Target è l’acronimo di Trans-european Automated Real-time Gross settlement Express Transfer system e il 2 sta per la seconda versione del sistema di calcolo entrato in vigore nel 2007. La prima edizione risale al 1999, anno di nascita dell’euro.

In estrema sintesi, il Target 2 prevede che le singole banche centrali nazionali si occupino dei pagamenti dalla banca commerciale di uno Stato dell’eurozona a un altro. In pratica garantisce che un trasferimento monetario (di qualsiasi genere) da un Paese dell’eurozona all’altro avvenga regolarmente. Non indica, insomma, che un Paese sia più, o meno, indebitato nei confronti di un altro. Per questa misura si usano la bilancia commerciale e quella delle partite correnti e quelle dell’Italia sono in attivo.

Prima del 2011, nonostante la crisi finanziaria internazionale imperversasse da oltre due anni, i saldi Target 2 tra le varie economie dell’eurozona erano pressoché prossimi allo zero. Da allora è stato un crescendo di squilibri (saldi T2 negativi) per tutte le economie dell’Europa mediterranea a favore di quelle del Nord, in particolare della Germania. Questo vuol dire che c’è stato un travaso di flussi monetari – via sistema bancario – dalle economie periferiche a quelle del centro e alcuni analisti leggono in ciò una chiara fuga di capitali dall’Italia stimata in circa 90 miliardi di euro da quando il governo gialloverde si è insediato a Roma. Insomma, il T2 fa i titoli sui giornali italiani al pari dell’aumento del famigerato spread (il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato italiani Btp e gli omologhi tedeschi). Il ragionamento è il seguente: aumentano gli squilibri T2, lo spread sale e di conseguenza si vende tutto ciò che è targato Italia per portarlo in porti più sicuri. Un sillogismo che non fa una grinza per i cosiddetti investitori istituzionali (esteri e nazionali) che sono sempre alla ricerca di maggiori rendimenti per i capitali da loro gestiti e, quando l’incertezza aumenta cresce anche la fame di volatilità (e quindi di guadagno) degli speculatori: è il loro lavoro. Il discorso è diverso quando la paura prende il sopravvento del piccolo risparmiatore.

Nelle scorse settimane si sono moltiplicati gli articoli sui giornali nazionali e i servizi nei talk show serali italiani di fuga di capitali verso la Svizzera e in particolare verso il Ticino. Che l’interesse verso la piazza finanziaria locale sia tornato in auge, è un fatto percepito anche dai vertici dell’Associazione bancaria ticinese che comunque smorzano i toni trionfalistici. L’interesse c’è, ma non si tratta più di capitali in fuga da un fisco esoso. Con lo scambio automatico d’informazioni, aprire un conto a Milano o a Chiasso è dal punto di visto fiscale indifferente. Il risparmiatore italiano non sfuggirebbe, per esempio, a una ipotetica tassa patrimoniale ‘notturna’ (alla governo Amato del 1992, per intenderci) visto che la sua sostanza (immobiliare e finanziaria) dovrebbe essere nota alla sua autorità tributaria. Non sfuggirebbe nemmeno a un’eventuale – e molto improbabile – rottura dell’euro, se i suoi investimenti fossero allocati in prodotti finanziari dell’eurozona. Dormirebbe sonni più tranquilli, questo sì, se i suoi risparmi fossero detenuti in franchi visto che la Svizzera ha comunque degli atout solidi dal punto di vista politico e macroeconomico. Ed è proprio la ricerca di tranquillità a far muovere i capitali italiani Oltreconfine.

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