Commento

Dieci anni fa il salvataggio di Ubs

Cosa ha insegnato a noi e alla banca svizzera? E quali sono oggi i nuovi rischi?

17 ottobre 2018
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In questi giorni si stanno ricordando i dieci anni dal salvataggio di Ubs da parte di Consiglio federale e Banca nazionale. Istituto quest’ultimo che aveva assunto sulle proprie spalle (tramite una società creata ad hoc) titoli tossici per oltre 40 miliardi di franchi per permettere alla banca di ‘ripulire i propri bilanci’ e cercare poi di ripartire, oltre ai 6 miliardi di prestiti (ad un alto tasso, che comunque rese economicamente alla Confederazione).

Un’operazione attuata da governo e Bns nella massima segretezza, visto che in ballo c’erano la finanza e l’economia svizzere, confrontate con un danno che poteva pesare oltre 100 volte quello creato qualche anno prima dal grounding di Swissair, rivelandosi sistemico per il nostro Paese. Quindi era vitale che il piano di salvataggio fosse studiato e deciso segretamente e che, al momento del suo annuncio, fosse blindato.

Si evitò così la corsa al ritiro dei capitali da parte dei risparmiatori e il blocco di circa 300mila conti intestati ad aziende svizzere. Il tutto generato dalla crisi di fiducia che avrebbe investito frontalmente il maggior istituto finanziario svizzero, se non si fosse optato da subito (evitando i tempi lunghi della politica) per una possibile soluzione super sicura.

Le critiche comunque non mancarono: ai mega salari dei suoi manager (abituati a vivere sui piedistalli d’oro), alla corsa all’assunzione di rischi elevatissimi, alla politica della privatizzazione dei guadagni e degli utili, e all’assunzione delle perdite da parte dello Stato, chiamato in definitiva a fare da garante.

Oggi, a dieci anni di distanza, possiamo dire che l’esercizio (seppur non privo di rischi) negli anni è riuscito, che sono state introdotte delle norme più stringenti per evitare di trovarsi di fronte a banche troppo grosse per fallire (‘too big to fail’), che anche la piazza finanziaria si è (volens nolens) sottoposta finalmente a regole più ferree da parte della Finma, che sono stati fatti degli sforzi anche da parte delle banche per diversificare le loro attività, che si è aumentata la loro capitalizzazione e via dicendo.

Tutto vero. Ma quando si domanda ad un banchiere o a un esperto quali siano i nuovi rischi, spesso abbiamo due tipi di risposte. Una, più certa, è quella legata ai nostri tassi d’interesse negativi, al mercato immobiliare surriscaldato da investimenti ormai fuori mercato pur di piazzare del denaro fresco…; e l’altra – come è stato detto anche ieri mattina a Modem dall’esperto Henry Peter –, è quella che i rischi, proprio perché sono rischi alti, sono inattesi anche perché dipendenti da fatti che succedono soprattutto all’estero. Rischi insomma globali che prima o poi possiamo anche importare e che poi generano un effetto domino. Come dire, per ora andiamo bene, ma può anche e ancora succedere di tutto e di più per motivi/speculazioni creati altrove.

Vale comunque la pena ricordare quanto successo e rammentare a certi poteri forti della finanza che se siamo qui oggi nel 2018 a parlare della pertica (pubblica) allora tesa a Ubs, è perché l’ammiraglia che stava per affondare/fallire (parole impronunciabili nel 2008!), è riuscita a navigare ancora grazie alla politica e al denaro dei cittadini svizzeri.

Riconoscerlo nel tempo aiuta anche a non diciamo migliorare, ma a evitare di compiere errori analoghi. Gli iceberg ci sono e ci saranno sempre, che i capitani (coraggiosi ma non superbi) si ricordino del Titanic.

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