Commento

Quell'avversione per l'ultimo posto

Perché si è smemorati sulla propria origine, sulla propria storia familiare, sul proprio modo di essere?

5 ottobre 2018
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C’è una smisurata fiducia nella smemoratezza dei concittadini (lo sostiene Luciano Canfora nel suo ultimo splendido libro). E su quella smemoratezza si gioca senza pudore per imbastire le proprie ‘politiche’. C’è un curioso sito italiano (cognomix) dove iscrivi un cognome e vedi quanto e come è diffuso in tutta Italia. Si può scoprire che un buon settanta per cento delle parentele ticinesi trovano salde e diffuse radici nello Stivale.

Ciò non vuol dire che solo il dieci per cento dei ticinesi, dedotte anche le parentele tedesche o francesi o d’altrove, siano probabilmente ‘autentici’. Vuol dire però che buona parte di essi sono il risultato di un’emigrazione da sud, prossimo (Lombardia) o più lontano (Sicilia). Vuol dire che senza quell’immigrazione il Ticino sarebbe poco cosa, persino nella sua ‘identità’ o ‘ticinesità’. Ci si attenderebbe che almeno gli immigrati recenti, freschi di storia migratoria familiare, quasi sempre nata per stato di necessità o ricerca di condizioni migliori, avessero un atteggiamento comprensivo o un pizzico di pudore nel considerare i nuovi emigranti.

Capita il contrario. Chi ha fatto la scuola reclute o il servizio militare cinquant’anni fa avrà sicuramente sperimentato che i caporali o i tenenti più tignosi e canaglia erano freschi oriundi. Si poteva anche capire: ritenevano di dimostrarsi in tal modo più affidabili e più svizzeri degli svizzeri. Serviva anche per avere il posto in banca o nell’amministrazione pubblica.

Oggi, allargatosi il mondo, quella sorta di prova non dovrebbe essere più richiesta, neppure al tenente nero. Tanto più se i Ceo di una della maggiori banche svizzere o di un importante gruppo farmaceutico sono di colore. (Benché, a quanto pare, sussiste ancora il dubbio se i calciatori della Nazionale o i chierichetti di Chiasso debbano proprio essere di colore). La smemoratezza dei cittadini sta quindi nell’aver dimenticato le loro origini, il loro da dove e il perché, mentre la smisurata fiducia di molti politici in quella smemoratezza consiste nel costruire la loro fortuna elettorale proprio su quella dimenticanza, sull’avversità per principio all’emigrazione-immigrazione di cui sono figli. Sull’assenza di pudore, insomma.

Dopo l’ultima votazione sull’immigrazione (se ne sta prospettando un’altra dopo la riuscita raccolta delle firme) sono state fatte varie indagini che hanno scoperchiato due atteggiamenti: gli immigrati di seconda generazione, divenuti cittadini svizzeri, hanno votato in larga maggioranza contro l’immigrazione; dirigenti e anche professori di università, in particolar modo nella Svizzera tedesca, dove sono presenti personale qualificato e accademici provenienti dalla vicina Germania, si sono espressi a favore dell’iniziativa contro l’immigrazione. Sa di paradosso. Ma ci dice che al di là della smemoratezza, deve influire qualcosa di più importante. Forse può essere spiegata con una espressione coniata da alcuni economisti comportamentali americani: “Last place aversion”. Avversione per l’ultimo posto. In parole povere: si è smemorati sulla propria origine, sulla propria storia familiare, sul proprio modo di essere, perché non si vuole che l’ultimo arrivato, chi è ritenuto ‘dopo di noi’ per il suo stato (povero, straniero) possa anche solo avvicinarsi alla nostra posizione conquistata.

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