Commento

Un favore al Ppd, non al governo

Con il ritiro anticipato di Doris Leuthard il partito si ritrova in una posizione più confortevole. Il Consiglio federale, invece, diventerà più vulnerabile.

(Keystone)
28 settembre 2018
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Sedici votazioni popolari vinte su 18, una popolarità senza eguali tra i consiglieri federali, i fiori all’occhiello dell’uscita dal nucleare (avviata nel 2011 da un governo a maggioranza femminile, nel quale lei era arrivata cinque anni prima da convinta sostenitrice dell’atomo) e della svolta energetica. E potremmo andare avanti. Da qualche tempo però la stella di Doris Leuthard aveva smesso di rifulgere. Lei avrebbe voluto coronare il suo secondo anno presidenziale (2017) con un decisivo passo avanti nei negoziati con l’Ue. Non se n’è fatto nulla. Anzi: Bruxelles ha finito col negare l’equivalenza illimitata alla Borsa svizzera. Poi il caso AutoPostale, ultimo clamoroso episodio di una serie di disfunzionamenti che hanno messo a nudo la vulnerabilità di alcune aziende parastatali (Swisscom, Ffs). Ma soprattutto, la mutata costellazione nel Consiglio federale. Da più anziana in servizio, Leuthard è stata a lungo un po’ “come il capo nell’illustre club” (Die Weltwoche), fungeva spesso da ago della bilancia, influenzando in modo decisivo la sorte di molti dossier, anche controversi. Poi al posto di Didier Burkhalter è arrivato Ignazio Cassis. E i rapporti di forza sono diventati favorevoli alla destra. Da un anno a questa parte, con i quattro ministri Plr e Udc a votare spesso compatti, l’argoviese si è ritrovata più di una volta in minoranza, privata del ruolo che era stato il suo. Anche da qui, forse, buona parte della «stanchezza» che ieri – annunciando le sue dimissioni per fine anno – ha ammesso di provare.

Il Ppd perde un cavallo di razza come non se ne vedono più dalle sue parti. Non può certo fare salti di gioia. Ma il ritiro anticipato di Doris Leuthard mette il partito – in caduta libera da decenni a livello federale, reduce da sconfitte a ripetizione nelle elezioni cantonali – in una posizione più confortevole. Non solo gli garantisce per alcuni mesi una non disprezzabile visibilità mediatica. Cementa anche lo statu quo politico. La regola vuole in effetti che un consigliere federale in carica venga rieletto. Togliendosi di mezzo adesso, Leuthard la richiama, permettendo al contempo al suo partito di tagliare l’erba sotto i piedi agli ambiziosi Verdi, che non hanno mai fatto mistero di voler rivendicare a fine legislatura il seggio popolare-democratico qualora il Ppd dovesse scendere alle elezioni federali del 2019 sotto la soglia psicologica del 10% (2015: 11,6%) e loro progredire significativamente dal 7,1% del 2015.

L’uscita di scena contemporanea di Leuthard e Schneider-Ammann rende meno prevedibile la partita che si giocherà il 5 dicembre all’Assemblea federale. Rispetto a un’elezione singola, le combinazioni possibili – per quel che riguarda genere, provenienza, orientamento politico e altro – aumentano. Quanto ciò favorirà una maggior rappresentanza delle donne in Consiglio federale, resta tutto da vedere. Il Ppd, nella cui rosa di possibili candidati abbondano gli uomini e scarseggiano le donne, sembra propenso a scaricare la responsabilità della ‘questione femminile’ sulle spalle del Plr. I Verdi ora chiedono ai due partiti di presentare soltanto candidate. Non è mai capitato che due donne venissero elette allo stesso tempo in Consiglio federale. Verosimilmente nemmeno stavolta avverrà.

Una cosa è certa: questo doppio rinnovo – con ministri neofiti alla testa di maxi-dipartimenti, una parte dei quali cambierà inevitabilmente conduzione – metterà a dura prova il governo. Sul tavolo ci sono dossier aperti che scottano (politica europea, riforma fiscale e Avs ecc.); e manca poco alle elezioni. «C’è bisogno di persone indipendenti», che sappiano mantenere «una certa distanza» nei confronti dei partiti, ha detto Leuthard. Il messaggio stavolta sarà recepito?

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