Commento

Chi ucciderà la ripresa

I cilci economici non muoiono di vecchiaia, ma vengono 'assassinati' da errori di politica monetaria o economica. E all'orizzonte non mancano i 'killer'

La guerra dei dazi di Donald Trump è uno degli indiziati (Keystone)
20 settembre 2018
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La congiuntura economica, a livello internazionale, fino a questo momento ha retto anche se ha camminato su un sentiero di crescita angusto. Non c’è stata, per intenderci, una dinamica da decennio glorioso, ma la maggior parte delle economie occidentali (chi più, chi meno) è uscita dalle secche in cui era rimasta incagliata dieci anni fa. L’Italia, per citare uno degli attuali grattacapi dell’eurozona, pur essendo tornata in territorio positivo per quanto riguarda il Pil, ha una struttura economica ancora fragile e viaggia a velocità dimezzata rispetto ai suoi partner europei. Una crescita lenta che unita a una situazione politica interna piuttosto bizzarra, per usare un eufemismo, potrebbe generare tensioni sulla sostenibilità (leggasi capacità di onorare gli impegni presi) del suo importante debito pubblico. Più spesa sociale e minore pressione fiscale, declinate in chiave elettorale con gli slogan del ‘reddito di cittadinanza’ e della ‘flat tax’, sono un vero e proprio ossimoro. O si interviene sulla redistribuzione del reddito a favore delle fasce più deboli della popolazione, oppure sulla leva fiscale. Entrambe le riforme, affrontate singolarmente, richiederebbero però tempi lunghi di attuazione o per lo meno ragionati e compatibili con gli impegni di bilancio (gli ormai famosi parametri di Maastricht) che l’Italia si è presa in sede comunitaria e che il governo pentastellato un giorno afferma di voler rispettare e l’altro di mandare al macero.


Alcuni giorni fa uno degli economisti di Ubs Italia, Matteo Ramenghi, a un evento stampa a Lugano ha usato un’efficace metafora per dire che i cicli economici non muoiono di vecchiaia e men che meno di morte naturale. Normalmente, perché ciò accada, c’è bisogno o di un errore di politica monetaria o di uno di politica economica. Entrambi questi ‘killer’ si stanno profilando all’orizzonte, accrescendo il rischio di una recessione prossima ventura.

Per rimanere all’Europa, l’errore di politica economica potrebbe quindi essere commesso a Roma, con la prossima legge di bilancio. I mercati finanziari, per quanto fallaci e irrazionali, potrebbero non farsene una ragione e ‘punire’ oltre misura l’economia italiana, per parafrasare un’infelice affermazione del tedesco Günther Oettinger, commissario Ue al Bilancio. Se a questo aggiungiamo che il Quantitative easing della Bce a fine anno terminerà (il possibile errore monetario), abbiamo un potenziale mix di innesco della crisi abbastanza micidiale.


A livello internazionale il ‘killer’ potrebbe invece prendere le sembianze di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, con strascichi anche per la Svizzera come fa notare la Seco nel suo ultimo rapporto sull’evoluzione congiunturale. Il livello dello scontro tra i due lati del Pacifico si sta quindi alzando alimentato da una parte dall’aumento dei dazi da parte di Donald Trump e dall’altra dalle contromosse cinesi. Misure, quelle del ‘twittatore’ compulsivo, dettate da esigenze squisitamente interne – tra meno di due mesi si vota per il rinnovo parziale di Senato e Congresso –, oltre che dall’elevato squilibrio di bilancia commerciale fortemente a favore della Cina, che attua una politica di ‘China first’, ben prima dell’attuale inquilino della Casa Bianca.


Attualmente l’economia svizzera sta conoscendo un periodo di alta congiuntura, con una crescita del Pil stimata al +2,9% per quest’anno e trainata prevalentemente dall’export manifatturiero. È facile immaginare che ulteriori pressioni valutarie nella zona euro (rafforzamento del franco) e tensioni commerciali potrebbero incidere non poco anche sullo stato di salute dell’economia elvetica.

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