Commento

Ticino: occupazione, un terzo a rischio!

Nel Ticino prevale alle volte l’impressione, derivante comunque da fatti, che si guardi con monotonia politica al futuro rimestando sempre due strumenti, ormai tradizionali.

30 agosto 2018
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Nel Ticino prevale alle volte l’impressione, derivante comunque da fatti, che si guardi con monotonia politica al futuro rimestando sempre due strumenti, ormai tradizionali. L’uno consiste nell’attribuire ad altri (a fattori esogeni, direbbero gli economisti) la responsabilità di certe situazioni (Berna, Roma, Bruxelles; forse tra poco anche la Washington di Trump) sperando nella grande svolta. Non è che non ci sia un fondo di verità. È che tutto diventa un pretesto per giustificarsi e non guardare dentro casa come si dovrebbe (a certi fattori endogeni, direbbero gli economisti), liberandosi magari dagli affarucci elettorali o economici di dozzina. L’altro, che torna quasi in maniera esasperata, consiste nel dar mano per l’ennesima volta a questa o quella aliquota fiscale per diventare competitivi e attrattivi, dosando quel poco che basta tra il dare e l’avere per aggiustare i conti dello Stato e la giustizia fiscale con l’impossibile quadratura del cerchio. Anche perché non si dirà mai, dopo ogni operazione, chi è stato effettivamente attratto, in bene o in male, chi ha veramente beneficiato, aggiungendo e sottraendo.

La politica dovrebbe consistere, innanzitutto, nell’anticipare il futuro. Ed è sempre più difficile. Ma si è costretti a provarci. Capita ad esempio che al di sopra dell’eterna tenzone ticinese planino constatazioni ed allarmi provenienti dall’esterno che provocano altra impressione: quella di non avvertire ciò che sta arrivando, forse ancora chiusi in vecchi metodi di paese. Sarà impressione esagerata, ma è meglio tenerne conto.

Un istituto che va per la maggiore (Sapiens) e che si occupa delle problematiche legate alle nuove tecnologie, ha pubblicato negli scorsi giorni uno studio sull’impatto della rivoluzione digitale sull’occupazione. Come base di analisti, ha tenuto conto delle professioni “che sono già direttamente colpite da una tecnologia e che negli ultimi trent’anni hanno già visto i loro effettivi diminuire”. Aggiungendo un altro criterio realistico: il costo della manodopera. Perché “se il costo della manodopera è debole, minore è l’interesse a sostituire subito il lavoratore”. Non stiamo a descrivere la metodologia d’analisi o le due ipotesi, l’una ottimista che allunga i tempi dell’evoluzione, l’altra pessimista che accentua invece la tendenza. Diamola per buona. Ci interessa ciò che prima o poco dopo finirà per capitare.

Ci sono cinque professioni a grosso rischio o pressoché in via di rapida estinzione: gli impiegati di banca e delle assicurazioni; i contabili o, per certi aspetti, i fiduciari, gli studi commerciali (sistemi algoritmici avanzati potranno assolvere molti compiti e consulenze con sempre minore intervento umano); segretarie d’ufficio o di direzione (ne basterà una per svolgere le funzioni di parecchie altre); cassiere e impiegati di libero-servizio (l’automatismo permette comunque di diminuire drasticamente la massa salariale); operai della manutenzione (incluso magazzinaggio; qui i deboli salari potrebbero prolungarne la vita).

Guarda caso, sono tutte professioni dominanti nel Ticino. Se diamo per scontata questa evoluzione (ma in parte già in atto, constatabile), settori vitali del settore terziario ticinese, il più “occupazionale”, traballano. Con conseguenze che non si possono più in parte esportare, come avveniva un tempo (frontalieri, stagionali ecc.). Un buon terzo delle occupazioni (circa sessantamila persone) è a rischio estinzione. Servirà allora a poco deresponsabilizzarsi e defiscalizzarsi, bisognerà mettere l’immaginazione al potere (come si diceva cinquant’anni fa, provandoci, senza successo, con la programmazione o la legge urbanistica).

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