Commento

Talento e stoffa sono cose diverse

Ora alla cassa vengono chiamati i calciatori che in passato non hanno mai brillato né per personalità, men che meno per continuità di rendimento

8 agosto 2018
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Nel pensionamento di Valon Behrami – politico o di matrice anagrafica che sia – e dei colleghi di Nazionale che come il ticinese superano abbondantemente la trentina (tutti avvisati della scadenza imminente dei rispettivi mandati rossocrociati) occorre leggere la grave superficialità con la quale l’Asf si muove quanto a comunicazione, ma anche la volontà di avviare un ciclo più giovane e dinamico del precedente, chiuso malamente in Russia contro la Svezia, al termine di un percorso segnato da qualche sensibile miglioramento, non fosse che per la qualità del gioco.

Siccome però il successo di una squadra lo determinano le vittorie, non si può certo dire che Vladimir Petkovic sia riuscito nell’intento: la sua Svizzera è superiore a quella dei suoi predecessori, ma non sul piano dei risultati. È un limite evidente, ed è giusto fare quello che serve per porvi rimedio.

Ecco perché è legittima, financo doverosa, la volontà di aprire un ciclo diverso dai precedenti, che possa prescindere da alcuni tasselli destinati comunque a defilarsi a corto termine, per una questione anagrafica, così da caricare sulle spalle di chi finora l’aveva un po’ sfangata il carico di responsabilità che deriva dal ruolo di leader di un gruppo. Mica facile essere un condottiero, è più comodo fare il gregario.

Xhaka e Shaqiri, due dei rossocrociati più rappresentativi, finora sono rimasti un po’ nell’ombra proiettata dai vari Beh­rami e Lichtsteiner (vice e capitano), ma anche Djourou e Gelson Fernandes. Forti o deboli, titolari o riserve che siano, questi ultimi hanno trascinato il gruppo rossocrociato. Sono tutti passati attraverso le gestioni di Köbi Kuhn e Ottmar Hitzfeld, prima di apprezzare quella di Petkovic. Tante ne hanno viste, gestite, anche nelle rispettive carriere, consumate qua e là, ma sempre ad alti livelli. Sono numerosi i compagni che hanno visto transitare senza lasciare traccia, tanti anche i colleghi che sono stati in grado di restare a lungo.

Più volte si sono caricati la squadra sulle spalle, a parole, a volte anche a muso duro, e con i fatti. Valon, oltre alla faccia, ci ha sempre messo il fisico. Professionalità e attaccamento alla maglia presi a spunto, da compagni e allenatore.

Tutto questo prezioso bagaglio, un mix di personalità, esperienza, carattere e orgoglio, viene ora meno, per effetto di un processo di ringiovanimento dei ranghi necessario, ancorché avviato nella maniera sbagliata, mancando clamorosamente di classe e di riconoscenza.

Defenestrati (o cortesemente invitati alla porta) i senatori che hanno tirato la carretta con risultati lusinghieri, ora i galloni di capitano – quantomeno di figure di riferimento all’interno di un gruppo che accoglierà qualche volto nuovo – vengono cuciti sull’uniforme di chi prima era un soldato semplice, al massimo appuntato, ora promosso sergente, con piccole ma significative mansioni di comando. Nella maniera sbagliata, ma pur sempre promosso sul campo.

Ora alla cassa vengono chiamati i calciatori che in passato non hanno mai brillato né per personalità, men che meno per continuità di rendimento. La loro militanza rossocrociata è lunga, ma non hanno la personalità o la stoffa di chi è stato messo da parte, o da parte si sarebbe comunque accomodato presto. Hanno talento, hanno la giocata, ma consentiteci di nutrire qualche dubbio sulla loro capacità di calarsi nei panni di leader del nuovo ciclo che inevitabilmente ruoterà attorno alla loro figura. Non è facile esserne degni. Chi è stato accantonato malamente, lo era.

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