Commento

La (non) incoscienza di essere piloti

Chi vola non lascia nulla al caso, perché lassù sei da solo, o al massimo in due. Ecco perché risalire a bordo senza patemi.

7 agosto 2018
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È dura spiegare a tua mamma che non sei un incosciente. Specialmente in certi momenti. Eppure è così: nessun pilota lo è per il semplice fatto di sedersi in un aereo e farlo volare là dove la natura non ci ha voluto. Semmai è proprio questa consapevolezza, quella di andare là dove non possiamo stare da soli, a fare di coloro che volano l’esatto opposto degli incoscienti. È vero: chi entra nel mondo dell’aviazione spesso lo fa per la voglia di superare gli ostacoli, di vedere il mondo da una diversa prospettiva, e – in fondo – di andare da qualche parte gabbando il limite che ci tiene incollati a terra. E se questa è l’incoscienza iniziale, tutto il resto è puro calcolo.

Perché essere piloti vuol dire essere molto di più delle proprie passioni e dei propri istinti. Vuol dire in primo luogo conoscere i propri limiti e quelli della macchina con cui si vola: riconoscere, ad esempio, che se hai le ali di cera e se sei ancora un pulcino privo d’esperienza, non devi avvicinarti troppo al sole. È sapere che quando sei a quattromila metri d’altezza dipendi completamente dall’aria, dai venti, dal meteo e dall’aereo, ma ancora di più da quanto ne sai di quegli elementi. Per questo prima ancora di sederti a bordo, ti siedi a un banco per ore e lavori per sviscerare i segreti dell’atmosfera e delle tecniche di pilotaggio. Impari a capire che non tutte le giornate sono uguali, cerchi di studiare cosa può metterti nei guai e cosa può tirartene fuori. Impari come si comporta l’aereo su cui sali, lo conosci il più a fondo possibile, ti affidi alle procedure stabilite in ore e ore di test e ai consigli di chi ne sa più di te.

Quando poi affronti un volo, non lo fai mai da impreparato: analizzi il percorso, stabilisci quote e fissi punti di sicurezza da non oltrepassare, cerchi informazioni su venti, temperature e nuvole. Poi ti fai due calcoli per capire come andarci con il mezzo che hai. Ti lasci sempre un piano B. E magari anche un piano C, senza per questo scordarti che – come in qualsiasi altro contesto della vita – anche lì in rarissime occasioni qualcosa può comunque andare storto oltre ogni calcolo. Significa anche quello, essere piloti: prepararsi in modo da poter correggere al meglio errori o difetti tecnici che si producono una volta ogni miliardo. In volo nulla è lasciato al caso, perché sai che il caso (e a volte pure l’istinto) può tradirti. Anche i più esperti consultano le check-list e i manuali, persino se li hanno studiati a memoria: anche quella, in caso di stress, può non essere affidabile.

Essere piloti vuol dire avere fiducia in un sistema che funziona e funzionerà sempre meglio, perché – più di altri – sa imparare dai propri errori e sa porvi rimedio. Significa avere fiducia nelle procedure stabilite, avere fiducia nei meccanici che a terra ispezionano e ri-ispezionano l’aereo, avere fiducia nei controllori di volo, addestrati a non lasciare nulla al caso e capaci di gestire anche le situazioni più complesse. Avere fiducia in sé stessi, senza esagerare.

Poi le cose succedono anche se non è giusto. Succedono e fan piangere. Succedono, come in altri posti e in altri contesti. Ma non per questo si è spericolati. O incoscienti.

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