Commento

Industria ‘condita’ con tanta finanza

Sergio Marchionne non c’è più. Alla testa del gruppo Fiat-Chrysler da una settimana si è insediato Mike Manley

26 luglio 2018
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Sergio Marchionne non c’è più. Alla testa del gruppo Fiat-Chrysler da una settimana si è insediato Mike Manley che alla sua prima uscita pubblica (la conferenza telefonica con gli analisti finanziari) ha commentato i risultati trimestrali con dati positivi ma in calo rispetto alle attese. L’utile netto rettificato si è fermato – a parità di cambio – a 981 milioni di euro (-9%) rispetto ai tre mesi precedenti. Anche l’utile netto è in forte calo a 754 milioni di euro (-35%). Gli investitori non hanno però apprezzato la performance, con il titolo Fca alla Borsa di Milano che ha perso il 10% del suo valore dopo essere stato sospeso per eccesso di ribasso. E questo nonostante le vendite globali dei modelli Fca siano in aumento a 1,3 milioni di veicoli, in rialzo del 6 per cento.
Una conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, del fatto che sono le aspettative degli investitori a decidere il valore di un’azienda, qualunque sia il suo prodotto. Sergio Marchionne, che era un uomo di finanza, era ben cosciente di questi meccanismi e ha usato molta della sua capacità manageriale alla guida di Fca per aumentare il valore dei titoli dei suoi azionisti, più che innovare i prodotti. È successo con Ferrari, scorporata dall’universo Fiat e quotata con successo sulle piazze di New York e Milano; con Cnh (il mondo dei veicoli industriali) e nel prossimo futuro toccherà alla Magneti Marelli (componentistica per auto) e Comau (macchine utensili e robot industriali) essere messe sul mercato. Per la prima le operazioni di spin-off dalla casa madre Fca sono state annunciate già negli scorsi giorni e dovrebbero concludersi entro la fine dell’anno con la quotazione contemporanea ad Amsterdam e Milano.

È stata questa, in sintesi, la ricetta di successo di Marchionne: lo spezzatino con i pezzi più pregiati della dispensa ex Fiat, tanto che ora il valore globale delle singole aziende scorporate vale molto di più del gruppo originario. Questa è finanza – che ha una sua logica – ma non è industria. Certo, ci vuole capacità anche in questo. E Marchionne, lo ribadiamo, ha mostrato di avere coraggio, perseguendo con coerenza e una certa dose di cinismo (ricordiamo l’uscita dal contratto nazionale dei metalmeccanici e l’imposizione di un contratto aziendale separato) una strategia che ha fatto ancora più ricchi i suoi azionisti e annichilito una parte del sindacato italiano.

Il risultato però, almeno per quanto riguarda l’Italia e l’Europa (altro discorso vale per il ramo nordamericano, che è un altro mondo), è quello di un gruppo automobilistico che è diventato negli anni sempre più piccolo e marginale sulla scena internazionale, con modelli poco innovativi e che non ha investito nel futuro (auto elettrica e ibrida, per intenderci), tanto che la chiusura del cerchio probabile potrebbe essere prima la ricerca di un partner industriale e poi la cessione allo stesso dello scheletrino della ex Fiat Auto, magari ulteriormente spolpato dei marchi Maserati e Alfa Romeo (il sempre ventilato e mai realizzato polo del lusso).

Sulla stampa specializzata si è scritto negli scorsi mesi dell’interesse di gruppi asiatici: la sudcoreana Hyundai su tutti, ma anche della Ford che ha in casa la tecnologia snobbata dalla casa torinese.

Il tempo dirà se Mike Manley continuerà la strategia impostata da Marchionne e fatta propria dal Cda del gruppo Fca, oppure se darà una sua impronta, magari più orientata al prodotto. L’unica certezza è che i destini del gruppo industriale italiano per antonomasia non verranno più decisi a Torino.

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