Commento

GdP al capolinea senza nemmeno un Sos

Anche per chi come noi fa questo mestiere e ben conosce le grandi sfide editoriali sul tappeto grande è la sorpresa e tanta la tristezza.

18 maggio 2018
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Una voce cartacea quotidiana, quasi vicina al secolo di vita, tacerà (secondo quanto comunicato dal vescovo) per sempre. In noi, che facciamo questo mestiere e ben conosciamo le grandi sfide editoriali sul tappeto, grande è comunque la sorpresa e tanta la sincera tristezza. La doccia caduta ieri mattina sulla testa dei colleghi del ‘Giornale del Popolo’ e delle loro famiglie è di quelle ghiacciate. Da ice Bucket Challenge, per rendere meglio l’idea dello shock prodotto dall’annuncio da parte del vescovo Lazzeri dell’immediata chiusura del quotidiano della Curia. Niente tempi supplementari. I bilanci sono in Pretura e l’avventura editoriale è al capolinea. La vita di una testata storica della Svizzera italiana – a meno di un miracolo – finisce qui. Anno domini 2018, anno di turbolenze. Anno in cui la già precaria situazione economica del giornale – che tirava avanti da parecchio tempo attaccato alla flebo della Diocesi – si è purtroppo ulteriormente deteriorata con il grounding proditore della Publicitas. Il fallimento della società di raccolta pubblicitaria ha infatti finito per trascinare con sé il giornale, che di colpo non ha più avuto a disposizione la liquidità necessaria per sostenere i pagamenti correnti. In definitiva la navicella del GdP, che stava intraprendendo per conto proprio un viaggio comunque molto incerto, ha imbarcato così tanta acqua da ritrovarsi in quattro e quattr’otto arenata sul fondale. “Stavamo camminando – ha detto mons. Lazzeri – e ci hanno tagliato le gambe!”. Nemmeno il tempo di un Sos.

Un affondamento tragico, in particolare per la sua rapidità, tale da lasciare senza lavoro da un giorno all’altro una trentina di dipendenti, senza che – così pare – possa venir loro offerta l’àncora di un piano sociale e senza poter sperare in concrete prospettive di impiego in un panorama editoriale di vacche magre. A queste note dolenti – in un’ottica più generale – si aggiunge il venir meno di un foglio che ha dato voce ai cattolici ticinesi, abituati dal 1926 ad avere un punto di riferimento quotidiano, attraverso il quale hanno animato e arricchito il dibattito pubblico politico e sociale seguendo la volontà del vescovo fondatore Aurelio Bacciarini. Beninteso, altri canali sono possibili, ma, quando si gira una pagina come questa, la perdita dal punto di vista del contributo al pluralismo democratico è secca. Non c’è ritorno.

Non è infatti un caso se nella giornata di ieri sono giunte alle redazioni numerose reazioni di stupore e di solidarietà verso i colleghi del GdP anche da parte di diversi gruppi politici. Partiti che ben sanno quanto sia duro e impegnativo (anche dal punto di vista economico) fare informazione. Partiti che negli ultimi 20-30 anni hanno visto pure loro spegnersi gloriosi megafoni (un tempo persino quotidiani), per lasciare lo spazio a settimanali o mensili che vengono da qualche tempo abbinati a moderne forme di comunicazione attraverso i social. Dal canto suo il ‘Giornale del Popolo’ in qualche modo era già da considerarsi un sopravvissuto – pur con mille difficoltà, traversie e salvataggi anche economici – a quei cambiamenti del nuovo mondo mediatico-digitale, che hanno comunque finito per favorire le testate indipendenti e chi è in grado di muoversi bene in rete e sul fronte dell’online e dei social. A meno di un miracolo, si allungherà quindi con il nome di un foglio ticinese centenario la lista di giornali elvetici che – purtroppo – in questi anni hanno chiuso i battenti o sono stati assorbiti dai gruppi editoriali. Lista che è la cartina di tornasole della rivoluzione copernicana in corso nell’informazione. Una tigre che, nolens volens, va cavalcata. Con coraggio, idee nuove e barra a dritta.

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