Commento

La fotografia dell’esclusione

Per comprendere chi ha vinto o perso, basta dare uno sguardo ai due estremi, ai due comuni dove si è raggiunto il maggior numero di sì e no

30 aprile 2018
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Per comprendere chi ha vinto o perso, col voto espresso ieri dal (poco) popolo, basta dare uno sguardo ai due estremi, ai due comuni dove si è raggiunto il maggior numero di sì e no. Lo anticipiamo, la lettura è superficiale e anche un tantinello populista ma illuminante per quanto pressapochista. La seconda percentuale – dopo Bedretto – più alta (70,8 per cento) dei favorevoli agli sgravi fiscali per chi detiene grandi patrimoni si è registrata a Collina d’Oro… All’estremo opposto, il comune con la più alta percentuale (85,7 per cento) di contrari risulta essere Sonogno. La residenza collinare ceresiana, dove un metro quadrato di terreno vale tanto quanto l’oro che potrebbe contenere, e l’estrema periferia ticinese, splendida certo ma anche lontana dai lustrini del benessere e del potere economico.


Il voto di ieri – peraltro tiratissimo – ha ben evidenziato la fotografia della realtà contemporanea ticinese dove inclusione ed esclusione si manifestano anche nella scelta abitativa, perché spesso subordinata al reddito. La periferia (con qualche eccezione, vedi Airolo), magari sarà un caso, ha respinto la riforma fisco-sociale, mentre la realtà suburbana residenziale o industriale l’ha approvata. I primi hanno temuto, molto probabilmente, un importante calo delle risorse per le casse comunali e cantonali (con taglio dei servizi a seguire); i secondi hanno piuttosto guardato ai propri diretti interessi o a quelli di chi produce fatturati con molti zeri (grandi aziende) in residenzialità ballerina perché senza patria o quasi.

Un Ticino diviso in due, dunque, fra inclusi ed esclusi, soprattutto nelle opportunità professionali e residenziali. Non solo. Col voto di ieri è tornato il ‘Cenerigraben’, ovvero la differente sensibilità fra le città del Sopra e Sottoceneri in fatto di finanze pubbliche e interessi generali dello Stato. Con l’eccezione di Chiasso che da qualche tempo si sente piuttosto sopracenerina. Evidenti, invece, le differenze nel voto dei cittadini di Mendrisio e Lugano (favorevoli agli sgravi) rispetto a quelli di Locarno e Bellinzona (contrari). Un solco datato che ripropone due modelli di società liberale e che – purtroppo, dato la bassa partecipazione al voto – si direbbe destinato all’estinzione. Perché certi confronti impegnano troppo...

Detto delle differenze e anche della fotografia socio-economica del Paese, resta un grosso capitolo che deve far riflettere non solo le forze politiche ticinesi ma anche tutti coloro che hanno a cuore la democrazia deliberativa, diretta. Che ha una grande virtù: qualcuno, sulla carta, vince sempre. Anche con un solo voto in più. Il che permette di tirare avanti e ricompattare il confronto su un livello si spera più avanzato. E permette di fare, oltre che dire.

Poi, certo, la sostanza è ha un’altra faccia e ci racconta che quando il risultato è 50,1 contro 49,9 per cento, determinato dal 32,4 per cento degli aventi diritto al voto, significa che in realtà hanno perso tutti. O non ha vinto nessuno. Perché certo non si può dire che il 16 per cento degli aventi diritto sia una reale maggioranza. È una piccola minoranza che ha prevalso di poco su un’altra leggermente più piccola. Perché i promotori del referendum non sono riusciti a portare alle urne un numero ben più consistente di cittadini? Come mai su questioni così importanti la democrazia diretta si blocca? Comunque la si pensi non è un bene, perché lo spaesamento – quello sì – è sempre presente e senza la partecipazione diretta alle decisioni della comunità, il solco inclusione-esclusione si allarga ogni giorno che passa.

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