Commento

Troppo facile fare di Alfie una bandiera e non vedere altri strazi

Divenuta materia di “opinione pubblica” e, in Italia, di politici in cerca di facile popolarità, la vicenda del bambino inglese ha perso da tempo ogni senso di umanità

25 aprile 2018
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Perché non tacere? Perché farne un simbolo? Divenuta materia di “opinione pubblica” e, in Italia, di politici in cerca di facile popolarità, la vicenda del bambino inglese destinato a non sopravvivere se “staccato” dalle macchine che lo ossigenano e lo nutrono, ha perso da tempo ogni senso di umanità, intendendo con ciò il nostro temporaneo passaggio su questa terra e il segno che, tutti, vi lasciamo, pur destinato a tornare alla polvere.

Perché, se si parla del dolore straziante dei genitori (di cui può eventualmente sapere qualcosa solo chi ha perso un figlio), si parla di un elemento “accessorio”, speculare al desiderio bruciante delle coppie che un figlio lo vogliono a tutti i costi, senza riuscirvi. Nell’uno e nell’altro caso il sentimento riguarda, o meglio parla di loro, non della vita di un figlio – attesa o rimpianta – che ne è realizzazione o proiezione. E in entrambi i casi la tecnica, più della natura, interviene a determinare in concreto la possibilità di vivere o di nascere, e a condizionare il modo in cui pensiamo questi eventi (la tecnica, o i rapporti di classe, nel caso delle maternità surrogate, a partire da quella a cui fece ricorso Abramo, che ingravidò la schiava Agar per sopperire all’infertilità di Sara…).

Se invece si tratta della facoltà di un’autorità statale o sanitaria a decidere, in situazioni di irreversibilità terapeutica, sulla prosecuzione o sull’interruzione di un trattamento vitale, il discorso investe il diritto (che oggi fatica a reggere il passo con una evoluzione frenetica e in parte insensata della “tecnica”) e, inevitabilmente, la politica. Una politica tuttavia priva di un orizzonte che non sia quello della propria conservazione, oltretutto sempre più in balia di un flusso comunicativo multiforme (dai media tradizionali ai cosiddetti social) che a sua volta si autoalimenta di nient’altro che del proprio moto perpetuo. Le persone che davanti all’ospedale in cui giace il bambino manifestavano accusando medici e autorità di intenzioni omicide, in altre circostanze potrebbero accusare gli uni e le altre di liberticidio a proposito dell’obbligo di vaccinazioni. E chissà se lo farebbero per denunciare l’omissione di soccorso dei governi che respingono alle proprie frontiere i minori in fuga dalla morte per guerra o per fame.

Se infine parliamo di quel bambino, dovremmo smettere di farlo. Lo richiede il valore inestimabile della sua vita, la cui precarietà ben pochi di noi sarebbero disposti ad assumere su di sé, sostituendosi a lui.

Perché sì, anche una sola vita le vale tutte, e chi ne salva una salva il mondo intero, secondo il Talmud e la pietà universale. Ma chi di una vita fa una bandiera, si rende responsabile delle infinite altre di cui non ha voluto vedere lo strazio né impedire la fine, divenendo di questa complice.

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