Commento

'Apolide' delle mie brame...

Dall'installazione artistica di Piazza Grande a Locarno l'occasione per vederci riflessi, fra vizi e virtù

11 aprile 2018
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Nel maggio del 2007 Oppy De Bernardo invitò mezza Locarno al cinema (entrata 5 franchi), fece accomodare i presenti, spense la luce, e lasciò sobbollire il pubblico nel suo brodo fino ai titoli finali di un film che non esisteva. C’era solo il titolo: “Campione N. 1”. Il resto era buio, per 5 lunghissimi minuti, dentro un silenzio in cui si sentivano germogliare disagio e imbarazzo, ma anche divertimento e qualche goliardico “vaffa” di scherno. Poi, gli bucarono le gomme.

Con “Apolide”, l’installazione artistica che ha catapultato Piazza Grande al centro del dibattito – non soltanto “social” e non soltanto ticinese –, Oppy si è ripetuto. Con la differenza che al posto del nero di una sala silenziosa ci ha regalato una piazza brulicante di gente e invasa dai colori; e invece di 5 minuti l’ha fatta durare 15 giorni. Ma l’effetto è il medesimo. Perché esattamente come successo con “Campione N. 1”, anche “Apolide” ci ha restituito un’immagine di noi stessi filtrata dal prisma dei nostri caratteri.

Ciò che è emerso dal bagno dei 6’500 tra fenicotteri rosa e altri plastici oggetti è un campionario di emozioni che soltanto l’arte può suscitare:  abbiamo visto gioia ma anche disgusto, sconcerto e allegria. Indifferenza. Semplice interesse o più acuta curiosità. E persino timore, il riflesso naturale di una fragilità che è paradossalmente proprio ciò che chi l’ha tradita non intendeva far trapelare. Parliamo – ad esempio – dell’imbarazzante attacco preventivo di due esponenti locarnesi della Lega dei ticinesi, che con un’interpellanza inoltrata a Piazza Grande ancora vuota tuonavano contro “una patetica operazione pseudo culturale, di chiaro significato politico, a sostegno della propaganda a favore dell’immigrazione clandestina di finti asilanti e migranti economici” (grazie mille anche per questo, Oppy). Altre reazioni osservate, non meno tristi, sono state la maleducazione di chi, fin da subito, ha deturpato l’opera distruggendola deliberatamente (molti i bambini che scorrazzavano incuranti fra gli oggetti; incolpevoli loro, meno i genitori impassibili) oppure l’ha saccheggiata prima del tempo, anticipando di 12 ore il termine fissato dall’artista per disporre liberamente delle singole parti dell’opera (le 23 di ieri) dando vita ad una vergognosa messe di avidità, ingordigia e mancanza di rispetto.

E aveva un bel dire, ieri, il De Bernardo, di lasciarne lì almeno 300 per concretizzare l’operazione benefica da 2’000 franchi sostenuta da una discoteca a favore di Frà Martino Dotta e Sos Ticino: prima l’artista ha lottato contro i mulini a vento, correndo a destra e a sinistra, da solo, sotto la pioggia; poi ha dovuto transennare in fretta e furia i pochi superstiti; e infine ha vegliato di persona affinché non sparissero anche quelli. “Apolide” ci ha insomma fatto da specchio. Ci abbiamo visto ingenuità e scaltrezza, alti ideali e bassi istinti. Il tutto deformato dalla lente del localismo. Poteva anche non piacerci. 

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