Commento

Razzismo, vade retro!

Se si moltiplicano i politici pronti a trasformare il rifiuto della diversità in propaganda politica, correremo il rischio di fomentare tensioni e conflitti che non osiamo nemmeno pensare dove ci potrebbero (ri)portare!

10 aprile 2018
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Mentre attendiamo di sapere quale sia la connotazione (razzismo o regolamento di conti?) dell’aggressione ai danni di un giovane afgano a Winterthur, finito all’ospedale con gravi ferite alla testa dopo essere stato selvaggiamente picchiato da ignoti nel pieno della notte, sono state rese pubbliche le conclusioni del Rapporto 2017 della Commissione federale contro il razzismo. Lo scorso anno la rete di consulenza per le vittime del razzismo ha registrato nel nostro Paese 301 casi accertati, contro i 199 del 2016. Oltre un terzo dei casi riguarda forme di xenofobia in generale. Seguono episodi di discriminazione nei confronti dei neri e quelli di ostilità anti-musulmana.

Nessuno può ancora dire, al momento, se da noi il fenomeno sia in aumento o in diminuzione. Questo perché, da un lato, potrebbero essere stati segnalati più episodi grazie a una migliore accessibilità ai consultori; dall’altro, per il fatto che le vittime vengono da qualche tempo maggiormente sensibilizzate. Insomma, senza voler fare paragoni irriverenti, è come dopo il caso Weinstein: una volta (finalmente!) partita dopo non poche difficoltà la prima denuncia pubblica altre sono seguite. Quasi si fosse staccata una valanga. Ma il loro alto numero, materializzatosi solo dopo anni e anni di abusi, non significa che prima tutto andava per il verso giusto. Anzi… lo squallore rimaneva semplicemente nascosto!

Ma torniamo al rapporto della Commissione. Come detto, non sappiamo se effettivamente il razzismo anche da noi sia in aumento o se stia emergendo più facilmente. Per capirlo ci vorranno più anni di analisi dei dati rivelatori di tendenze certe. Quello che si sta invece indubbiamente notando è il ritorno sulla scena internazionale (negli Usa, ma anche in stati a noi confinanti) di perniciose teorie razziali (vecchie, ma mai defunte) secondo cui i bianchi sono superiori ai neri. Anzi, meglio ancora se bianchi e cristiani. Questo perché questi ultimi si sentirebbero minacciati, nella loro sopravvivenza, intesa come specie (!), dai neri e dai musulmani. Tutto ciò dimenticando tout court che viviamo in un mondo multiculturale e che esistono neri e musulmani anche di nazionalità svizzera; o, per guardare anche oltre le nostre frontiere, che esistono neri e musulmani di nazionalità polacca, ceca o ungherese, tanto per citare Paesi nei quali certe forme di discriminazione si stanno già facendo sentire nei dibattiti politici pubblici e nelle manifestazioni di piazza.

Insomma, se si infrangono determinati limiti e se si mettono in discussione principi laicamente ‘sacri’, quelli che ancorano nelle coscienze oltre che nelle leggi l’uguaglianza fra le persone al di là del colore della pelle o del credo religioso, e se si moltiplicano i politici pronti a trasformare il rifiuto della diversità in propaganda politica, correremo il rischio di fomentare tensioni e conflitti che non osiamo nemmeno pensare dove ci potrebbero (ri)portare. Se c’è dunque un segnale da intercettare nel leggere anche fra le righe dei dati dell’ultimo rapporto sul razzismo è quello di continuare a puntare su una politica del dialogo e non delle saracinesche, e anche sullo scambio di opinioni pur profilate, ma sempre rispettoso dell’altro e della diversità. In questo senso anche l’integrazione (su entrambi i fronti) e il rispetto delle leggi del Paese d’accoglienza richiedono sforzi continui. Interessante in tal senso il nuovo progetto d’accoglienza delle famiglie siriane, con l’arrivo del primo gruppo in Ticino. Orban intanto, coerentemente con le sue politiche incendiarie (dimentico di cosa la sua Ungheria deve all’Ue), ha annunciato la limitazione dei contributi alle Ong che si occupano di rifugiati e di cantarle a Bruxelles.

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