Commento

Scandalo Cambridge Analytica, lo stesso fece Obama, ma...

La questione dei dati Facebook usati dalla Cambridge Analytica per la campagna di Donald Trump continua a tenere banco

(Keystone)
23 marzo 2018
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Com’è che quando lo fece Obama nessuno gridò allo scandalo? Eppure anche il suo entourage utilizzò i dati di Facebook a scopi politici ed elettorali. Com’è quindi che la sua campagna fu elogiata come la nuova era della comunicazione politica e ora, per Trump, la Brexit e in genere per quanto fatto da Cambridge Analytica, ci si scandalizza? La prima risposta che vien da dare è che uno strumento può essere usato in vari modi, alcuni più corretti di altri. Ma poi ci si può anche domandare cosa significhi “corretto” e allora le cose si complicano.

Segue dalla Prima Per capirci qualcosa bisogna tornare alle ultime settimane di ottobre del 2012, quando nel quartier generale della campagna per la rielezione di Obama scattò il campanello di allarme: non si sapeva come contattare metà degli elettori con meno di 29 anni residenti negli stati chiave, ovvero gli stati che negli Usa possono condizionare l’elezione. Un bel grattacapo per un presidente che aveva puntato molto sul voto giovanile. La soluzione arrivò da un’applicazione Facebook. Fu presentata come un ulteriore modo per unirsi allo sforzo elettorale digitale del presidente in carica e fu scaricata da oltre un milione di persone. Un milione di fans cui fu poi ripetutamente chiesto di condividere specifici contenuti online con specifici amici di Facebook, tracciati nelle loro preferenze da un algoritmo. Vi aderirono oltre 600mila persone che, in totale, invitarono circa 5 milioni dei loro contatti a registrarsi per votare, a versare fondi o a guardare dei video. Fu salutata come l’evoluzione del porta a porta, ma di fatto il team di Obama non fece nulla di troppo differente da quanto rimproverato alla Cambridge Analytica. Tranne per due piccoli, grandi dettagli. Il primo: gli elettori di Obama erano coscienti di essere iscritti ad un’applicazione con scopi politici mentre i dati utilizzati dall’azienda britannica erano stati raccolti tramite un’app (chiamata ‘thisisyourdigitallife’) con finalità accademiche. Gli utenti che vi si iscrivevano non erano quindi minimamente a conoscenza dell’uso che ne sarebbe stato fatto in futuro; pensavano unicamente di essersi iscritti a una specie di gioco in grado di fornire loro un profilo psicologico in base alle loro abitudini online. C’è poi la fondamentale differenza nel tipo di comunicazione proposta nei due casi. Benché non sia ancora chiaro come e se la Cambridge Analytica abbia utilizzato i dati raccolti da Facebook nella campagna sulla Brexit e in quella a favore di Trump, è innegabile che i suoi dirigenti si siano più volte vantati di riuscire a manipolare le convinzioni degli utenti-elettori tramite campagne social estremamente mirate. L’azienda nega di impiegare uno stile denigratorio e di usare la disinformazione, ma un’inchiesta sotto copertura del canale televisivo Channel 4 parrebbe dire altro. E poi c’è Steve Bannon, stratega della campagna di Trump e già vicepresidente della Cambridge Analytica. Lo stesso Steve Bannon dirigente del portale di estrema destra americana Breitbart, più volte pizzicato a pubblicare notizie false o volutamente tendenziose. Lasciamo a voi decidere quale sia un uso “corretto” dei dati personali ottenibili da Facebook: l’uno, l’altro, tutti e due o nessuno dei due. È però innegabile che tra i due approcci vi sia una bella differenza.

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