Commento

Di oro colato e lacrime versate

23 febbraio 2018
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Nell’istante in cui taglia il traguardo, allo spilungone si perdona la levataccia; casuale, ammettiamo, ché la sveglia mica s’era puntata. Il sonno che la sera ci manderà a dormire come le galline, sarà un prezzo pagato volentieri all’emozione che, se non ci fa saltar su come una molla dal divano per quel ragazzo infinito, è solo perché un urlo nella notte non sarebbe il modo migliore per svegliare i famigliari e allarmare il quartiere ancora addormentato.

Improvvisamente attenti ai numeri che scandiscono il tempo di chi scende dopo Ramon Zenhäusern, si pensa, più per scaramanzia che per convinzione, che un ottavo posto non sia così male, poi che non lo siano nemmeno il settimo e il sesto, figuriamoci il quinto. Il quarto però no, dai. Lo spilungone sembra impassibile dietro gli occhiali da sole; a casa, invece, da semisdraiati ci si è rizzati seduti in punta di cuscino. Quando anche la matematica, dopo la speranza, dice che sarà medaglia, una lacrima ci scende quasi a tradimento, mentre il ragazzone si lascia cadere a terra a mille miglia di distanza. Alla fine Ramon sarà d’argento e le lacrime (nostre) più d’una, ma poco importa: non ci sono testimoni e comunque l’impresa del più anomalo degli slalomisti, val bene un po’ di commozione.

Sì, l’impresa. E non è il solito uso sportivo delle parole, che a volte scivola nell’esaltazione. Ciò che ha compiuto il 25enne vallesano a Yongpyong, è meritato quanto straordinario. In crescita nelle ultime gare di Coppa del Mondo, s’è preso una medaglia olimpica nella specialità in cui forse la concorrenza è più agguerrita e il livello più elevato. Certo, sono saltati fuori dai pali i due favoriti, ma al traguardo ci si deve arrivare (le uscite di Marcel Hirscher e Henrik Kristoffersen ne sono appunto la prova) e il gigante gentile ci è giunto ‘avec la manière’. Nono sul primo tracciato, nel secondo ha fatto danzare i suoi due metri e scaricato i suoi cento chili sulla pista con tanta determinazione, da far pensare che ne avesse abbastanza di sentirsi dire di non avere il fisico da slalom, ritenuto terreno per ‘piccoli’ (Hirscher misura 173 cm e Kristoffersen 179). Il podio di Corea è stato un affare tra slanciati, anche se Zenhäusern svetta sui 189 cm di André Myhrer (primo) e i 186 di Michael Matt (terzo). Ma il suo sorriso lo abbiamo visto bene anche da ‘quaggiù’.

Giusto il tempo di ricomporsi dopo aver brindato a caffè e le bandiere rossocrociate tornano a sventolare. Merito delle ‘gemelle’ dello sci, che fanno del podio un affare di squadra. Impossibile non farsi contagiare da euforia e gioia di Michelle Gisin e Wendy Holdener, prima e terza, ma le lacrime (nostre) non escono. Non certo a causa della talentuosa 24enne di Engelberg, che col titolo olimpico non è più solo la sorella della già titolata Dominique; né dell’altrettanto dotata coetanea svittese, alla seconda medaglia a questi Giochi; entrambe già titolate nella disciplina ai Mondiali di St. Moritz. Ma semmai della combinata, mai davvero entrata nel cuore di sciatori e spettatori. Introdotta per premiare i polivalenti, è vieppiù diventata affare per specialisti delle porte strette e la Fis intende toglierla dal calendario. E però gara olimpica è, e le medaglie di Micki e Wendy meritano un secondo caffè (per il prosecco è decisamente presto) perché valgono e pesano come tutte le altre. Si pensi a Mikaela Shiffrin, che ha fatto l’impasse sulla discesa per avere più chance proprio in combinata. Scelta pagante, visto che è finita in mezzo al sandwich svizzero.

Con la seconda tripletta in un giorno (come mercoledì 14), la Svizzera sale a undici medaglie, obiettivo minimo di Swiss Olympic. Se ne arriveranno ancora, saranno oro e lacrime colati.

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