Commento

Quando il vento gonfia le vele

Non è solo una tendenza. C’è di più. C’è un cambiamento di rotta che va preso in considerazione.

15 febbraio 2018
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Non è solo una tendenza. C’è di più. C’è un cambiamento di rotta che va preso in considerazione. Ieri Ueli Maurer, ministro delle finanze, ha presentato i conti 2017 della Confederazione che chiudono con un avanzo d’esercizio tecnico di 2,8 miliardi di franchi (in realtà è di quasi 5 miliardi), a fronte di un deficit previsto di 250 milioni. Un netto miglioramento, ha aggiunto il consigliere federale, dovuto soprattutto ai ricavi dall’imposta preventiva evidentemente sottostimati in fase di preventivo. C’è chi pensa male (alludendo a stime volutamente di basso profilo), ma tant’è. Il Consiglio federale nell’impostare il piano finanziario 2019-2021 della Confederazione preannuncia poi “eccedenze” d’esercizio miliardarie anche per i prossimi anni. Un miglioramento strutturale che si spiega con le ricalcolate stime dei ricavi che coinvolgerebbero tutte le imposte, Iva compresa.

La tendenza annunciata ieri a Berna trova conferma a livello regionale, come in Canton Ticino dove il preventivo 2018 – non capitava da almeno vent’anni – annuncia un avanzo d’esercizio contenuto (più 7,5 milioni di franchi) e anche le previsioni a seguire, in particolare per il 2019, confermano la tendenza al bello per le finanze pubbliche cantonali. Prova ne sia che contrariamente a quanto immaginato nel 2015, il pareggio dei conti anche a sud delle Alpi non è più una chimera. Anzi. E viste le cifre, nonché l’andamento della congiuntura svizzera ed europea (è annunciato per quest’anno un aumento del Pil in ogni Paese dell’eurozona), si può credere che siamo di fronte a una fase strutturale solida, e dunque oltre il guado della profonda crisi apertasi dieci anni fa.

Ovunque qualcuno ha pagato il prezzo. Perché ogni ripresa economica è sempre figlia di una recessione che nel nostro caso ha inchiodato i salari agli stessi livelli, per anni, con conseguente calo dei consumi e dei prezzi. Senza l’enorme emissione di liquidità della Banca centrale europea, l’epilogo sarebbe stato ben diverso. Ma chi ha pagato il prezzo della crisi, nell’intera Europa, in Svizzera e anche nel Canton Ticino? Quelli di sempre, ovviamente. Tutti coloro che dipendono da una specifica condizione (territoriale, sociale, professionale, culturale e familiare) e che in questi anni si sono ritrovati con l’ascensore rotto; lo stesso che in passato aveva permesso di migliorare le condizioni economiche dei genitori dei “millennials” nati fra il 1980 e il 2000, le vere vittime dei profondi mutamenti strutturali contemporanei.

La rivoluzione tecnologica ha mutato gli orizzonti e cambiato il modello produttivo. Oggi come ieri il ruolo del servizio pubblico si rivela fondamentale non solo per contenere i danni, ma soprattutto per estendere le condizioni, le opportunità. Se è vero che lo Stato deve soprattutto investire nella fase di recessione (per sostenere la ripresa) è altrettanto certo che non può dimenticarsi delle sfide imposte dai mutamenti radicali. E quelli in corso nel secondo decennio del secolo sono tremendamente pesanti, perché stanno scombussolando il lavoro e la conoscenza.

Sarebbe dunque necessario, a Bellinzona come a Berna, cambiare verso e reimpostare la politica delle opportunità, capace di consolidare servizi e strutture non tanto per evitare il peggio, quanto piuttosto per rilanciare il meglio. E contrastare così le paure date dalla libera circolazione delle persone, uno dei prossimi appuntamenti popolari di vitale importanza per l’intera Confederazione.

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