Commento

Quando i mercati lanciano segnali

La forte correzione dei listini statunitensi e asiatici potrebbe essere soltanto un incidente di percorso. Le future mosse della Fed gelano gli investitori

Il neo presidente della Fed Jerome Powell
(Keystone)
7 febbraio 2018
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È una strana coincidenza che il cambio della guardia alla testa della Federal Reserve tra la accomodante ‘colomba’ Janet Yellen e lo ‘sconosciuto’, per ora, Jerome Powell sia avvenuto nel giorno della più violenta correzione dei listini americani negli ultimi otto anni.

Per alcuni analisti la brusca frenata è un salutare evento che riporta gli investitori con i piedi per terra. I mercati, di qualunque tipo, non possono conoscere un’unica direzione e quest’ultima non deve per forza essere al rialzo, come invece ci si era abituati soprattutto nell’ultimo anno. Ci sono decine di variabili in gioco e prima fra tutte la prospettiva di un veloce rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, unica tra le principali banche centrali ad aver iniziato da tempo una politica di normalizzazione monetaria, prima esaurendo i programmi di acquisto di titoli pubblici e poi rialzando, a tre riprese, i tassi guida sui Fed Funds.

A preoccupare gli investitori sono proprio le prossime mosse del neopresidente della Federal Reserve che potrebbero essere più rapide di quanto auspicato e soprattutto di quanto fatto intendere da chi l’ha preceduto. Il primo messaggio di Powell è stato all’insegna della continuità con la politica monetaria di Janet Yellen ma gli ultimi dati su occupazione e inflazione al rialzo fanno intendere che l’economia americana, avviata da tempo sulla strada della ripresa, possa surriscaldarsi anzitempo. In questo gioca un ruolo fondamentale l’appena varata riforma fiscale di Donald Trump che grazie a sgravi pari a 1’500 miliardi di dollari potrebbe accelerare ulteriormente la dinamica dei prezzi interni se non compensata da una stretta monetaria. Insomma, la ripresa economica governata dalla Yellen è stata lenta e graduale. In questo modo è stato possibile comunicare al mercato il cambio di passo in materia di tassi d’interessi in modo adeguato e facilmente digeribile.

Ma a queste aspettative degli investitori si sono aggiunti anche fattori puramente tecnologici che hanno probabilmente contribuito ad accelerare la caduta dell’indice Dow Jones. In pochi minuti ha infatti perso oltre mille punti per recuperarne circa la metà in altrettanto poco tempo. In gergo tale situazione si chiama ‘flash crash’, un tonfo istantaneo che non trova, apparentemente, ragioni economiche e razionali. Era successo con la sterlina il 19 maggio dello scorso anno oppure con i titoli Amazon qualche settimana dopo (il 7 luglio). Correzioni spesso governate da sofisticati algoritmi che al verificarsi di determinate condizioni – il raggiungimento di un determinato livello di prezzo, per esempio – fanno scattare vendite a catena scatenando un discreto panico più che tra gli operatori ‘umani’, tra i sistemi informatici fratelli in giro per il mondo. Cosa che è puntualmente capitata tra lunedì e martedì, dall’Asia all’Europa, con cali fino a oltre il 4% (l’indice svizzero Smi, per esempio, è sceso ai livelli di giugno scorso).

Correzione ‘fisiologica’ o qualcosa di peggio? Lo scopriremo soltanto nelle prossime settimane.

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