Commento

Un Mr. Europa, ‘nuovi approcci’ e il nodo politico dietro l’angolo

Il Consiglio federale abbozza le nuove basi della politica europea. Cassis: dieci mesi per fare progressi sull'accordo quadro

((foto Keystone))
1 febbraio 2018
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Ignazio Cassis ha trovato tre tasti ‘reset’ (cfr. pagina 5). Ieri però il Consiglio federale ne ha premuto uno solo: quello che catapulta il ticinese Roberto Balzaretti al posto di coordinatore di tutti i negoziati con l’Unione europea (Ue). Per la sostanza – uno degli altri due tasti ‘reset’, il terzo, riguarda la comunicazione – bisognerà pazientare ancora tre settimane almeno. Una nuova seduta di clausura dedicata al tema è in programma il 21 febbraio. Solo allora se ne saprà forse qualcosa di più sui “nuovi approcci” che l’esecutivo sta vagliando per sciogliere (nei prossimi dieci mesi, ha precisato il ministro degli Esteri) il nodo principale nelle trattative con l’Ue: quale sarà l’istanza (o le istanze) chiamata a dirimere le future controversie tra Berna e Bruxelles?

Il Consiglio federale non se la prende comoda. Ma nemmeno morde il freno. E va bene così. Perché le aspettative erano e restano elevate, ed è meglio ridimensionarle in partenza. Le ha alimentate anche lo stesso Ignazio Cassis, ostaggio dello slogan coniato quand’era candidato al governo, costretto – nei suoi primi cento giorni da loquace e ipermediatizzato ministro degli Esteri – a intrattenere l’illusione che si possa in un modo o in un altro resettare quanto fatto sin qui e ripartire su basi diverse.

 

Il Consiglio federale fa bene a prendere tempo anche perché la sua credibilità in questo dossier è traballante e va ripristinata. Per anni non ha avuto una linea chiara sulle relazioni con l’Ue. Ne ha approfittato l’Udc, che ha monopolizzato il dibattito riuscendo persino a imporre il suo vocabolario: l’immigrazione, “di massa”; i giudici, “stranieri”; la ripresa del diritto europeo, “automatica”, l’“adesione strisciante” all’Ue; e ora la nuova iniziativa popolare ‘per la limitazione’ [dell’immigrazione], eufemismo che serve a distogliere l’attenzione dal suo reale obiettivo: affossare la libera circolazione delle persone. «Le parole plasmano la realtà», aveva ricordato giustamente Cassis nella sua prima conferenza stampa da consigliere federale eletto.

È dunque investito di eccessive aspettative, portandosi appresso un deficit di credibilità e persino con uno svantaggio a livello semantico (Cassis ora si affanna a colmarlo) che il Consiglio federale si appresta ad affrontare questa nuova fase nelle relazioni con l’Ue. I rapporti con Bruxelles si saranno anche normalizzati dopo l’attuazione euro-compatibile dell’iniziativa Udc ‘contro l’immigrazione di massa’. Ma la situazione resta complessa.

Sul piano interno, stretto fra l’incudine degli ‘interessi dell’economia’ e il martello della ‘difesa della sovranità’, il governo dovrà riuscire nei prossimi mesi a tracciare una via che possa essere percorsa da tutti i principali partiti (Plr, Ppd, Ps, Verdi) che si richiamano, con accenti assai diversi, ai Bilaterali.

Sul piano bilaterale, in un contesto tutt’altro che favorevole (non sono attese concessioni di rilievo alla Svizzera almeno fintanto che i negoziati sulla Brexit sono in corso), sono tornate alla ribalta questioni ‘dimenticate’ (le sovvenzioni e gli aiuti di Stato). Ci si accorge che altre, date più o meno per acquisite, non lo sono per nulla (le misure di accompagnamento alla libera circolazione, il riconoscimento dell’equivalenza della Borsa svizzera, lo stesso miliardo di coesione). Mentre all’orizzonte si profilano nuovi, vecchi conflitti: sulla riforma della tassazione delle imprese, sulle normative europee riguardanti il possesso di armi, persino sull’estratto del casellario giudiziale richiesto dal Ticino (sempre nel collimatore dell’Ue, ha riferito ieri ‘Rundschau’ della Srf).

Troppo piccola per ‘pesare’ sulla scena politica internazionale, anche per questo neutrale, la Svizzera ha da sempre giocoforza improntato la sua politica estera alla promozione dei suoi interessi finanziari e commerciali (anche ai buoni uffici e all’aiuto allo sviluppo, certo). La politica europea non fa eccezione: i ‘Bilaterali’ – che dal 1999 regolano le relazioni tra Berna e Bruxelles in 120 settori diversi – sono prima di tutto accordi di accesso all’allettante mercato unico continentale, un lasciapassare vitale per numerose aziende elvetiche votate all’export. Quando ha tentato di buttarla decisamente sul politico (l’adesione allo Spazio economico europeo, nel 1992), il Consiglio federale ci ha lasciato i denti.

L’epoca delle intese à la carte è finita, insiste l’Ue ormai da qualche anno. Non ci sarà alcuna estensione dell’accesso al mercato unico se la Svizzera non acconsentirà a siglare un accordo quadro che fornisca una volta per tutte una solida base (istituzionale) alle relazioni bilaterali (sin qui eminentemente economiche, appunto). La cosa comporterà un prezzo politico: se finora ce la siamo cavata con i soldi (il ‘miliardo di coesione’ versato ai Paesi dell’Est), in futuro sul tavolo andrà messo qualcos’altro. Non è il caso di scomodare la sovranità, come fa l’Udc sparando già adesso – prima che se ne conoscano nel dettaglio i contenuti – sull’“accordo coloniale”. Ma appare chiaro che alla fine non si potrà evitare che alla Corte di giustizia dell’Unione europea venga riconosciuto un qualche ruolo – per circoscritto e residuo che sia – nella risoluzione delle future controversie tra Svizzera e Unione. Il Consiglio federale fa bene a non dirlo subito, a prendersi il tempo. Ma non potrà più tergiversare a lungo: il nodo politico verrà presto al pettine.

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