Commento

Se la cabina va in pensione…

C’era una volta una cabina dotata di porta e vetri ai lati, con al suo interno un aggeggio che serviva a telefonare

11 gennaio 2018
|

C’era una volta una cabina dotata di porta e vetri ai lati, con al suo interno un aggeggio che serviva a telefonare. Da noi, quella struttura chiamata cabina telefonica, si trovava in ogni comune. Quando andavamo al mare in Italia, se volevamo telefonare, dovevamo metterci in fila, con un bel po’ di gettoni e armati di pazienza. Ma la noia dell’attesa era spesso mitigata dall’ascolto di qualche telefonata di chi ti aveva preceduto…

Visitando il museo delle comunicazioni di Berna, spiegheremo così ai nostri nipoti la storia delle cabine telefoniche ora inviate in pensione e magari trasformatesi in vivaci mini-biblioteche. Il tempo passa e le tecnologie evolvono, certo. Alcuni di noi hanno appena fatto in tempo a vedere i telefoni avvitati alla parete di casa, con una rotellona che ci metteva alcuni secondi per tornare indietro, con sopra due robusti e squillanti campanelli e, sotto, attaccato a una corda da pacchi, appeso e ondeggiante anche il pesante elenco del telefono. Per saperlo usare già da piccoli era importante conoscere a menadito l’alfabeto. Già allora c’era un’eccezione: la città di Lugano che veniva prima di tutte le altre località del Ticino. Unico cambiamento? Nossignori, già da qualche tempo sono finiti, sempre nello stesso museo, pure il telegrafo e il fax. Ai nipoti racconteremo anche che c’era una volta un apparecchio per telefonare (nero e lucido delle Ptt); un altro per scattare le fotografie (non un’infinità, perché la macchina conteneva il rullino da far sviluppare); un altro ancora per fare i film (la cinepresa); un altro ancora per ricevere i messaggi di posta elettronica (il computer) ecc. Mentre oggi ci portiamo tutto in tasca, racchiuso in un solo telefonino multifunzionale.

A dire il vero ci siamo anche stufati di chiederci se oggi sia meglio o peggio rispetto a prima, perché intanto è così e basta. C’è scelta? No, non c’è. A meno di optare per un eremo… Le invenzioni quando hanno successo, perché ci piacciono, diventano di massa e sei obbligato a farle tue. Qualcuno ci ha forse chiesto se volevamo ancora utilizzare il ‘vecchio’ giradischi? O se poi, messi in soffitta i dischi di polietilene, era il caso di fermarsi ai cd? E, guardando avanti, qualcuno ci chiederà se per noi sarà un bene o un male che il frigo di casa saprà cosa mangiamo e a che ora del giorno? E se lo dirà anche alla nostra cassa malati? Nel senso che, ovviamente, sarà la cassa malati a pretendere quel nostro dato (molto) personale. Almeno le cabine telefoniche (ora destinate a scomparire) e i telefoni incollati al muro non ti tradivano…

È senza dubbio questo l’elemento distintivo e caratterizzante l’attuale rivoluzione, alla quale sempre più siamo costretti ad adattarci, senza avere sufficiente consapevolezza di quanto noi consumatori siamo parte di un maxi-macchinario di raccolta di dati. Quelli delle nostre abitudini quotidiane. Dati che noi regaliamo, ma che sono manna per chi li raccoglie, li analizza e li rivende a chi, a sua volta, non fa altro che bombardarci ancora di nuove proposte e offerte. In un primo tempo qualcuno si sarà anche sentito gratificare da quell’algoritmo che ha iniziato a conoscerci e a proporci cose che ci interessano. Ma poi dovrebbe venir naturale chiederci: perché mai tante e tali attenzioni? Perché chi ce le riserva ha semplicemente interesse economico nel farcele. È giunta l’ora di accorgerci quanto stiamo sempre più diventando oggetti di consumo a causa dei nostri comportamenti sempre meno segreti. Una cabina telefonica ci offriva un semplice servizio. Un elenco telefonico elettronico ci concede un servizio, ma non ce lo regala anche se lo si ottiene gratis. È su questi aspetti che dovremmo maturare una nuova coscienza noi consumatori e cittadini.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔