Commento

Schiavi vendonsi

(Miguel Paquet)
20 novembre 2017
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C’è voluto un reportage della rete televisiva Cnn per riportare i riflettori sull’incubo che per decine di migliaia di persone si sta consumando nel Mediterraneo meridionale. Le voci, i sospetti, i mormorii, si sono tramutati in certezza. Impossibile per chiunque ora dire “non sapevamo”.

I negrieri arabi non appartengono più unicamente alla storia del Medioevo nordafricano. L’esistenza di un mercato di essere umani in Libia è ormai provata: la schiavitù è una realtà del nostro secolo. Migranti che non ce la fanno a varcare il Mediterraneo a bordo dei barconi, fermati dalle guardie costiere libiche e poi finiti di nuovo nelle mani di trafficanti senza scrupoli che li vendono a proprietari terrieri.

La vita di un uomo vale circa mille dinari, più o meno 700 franchi. Quella di eritrei e somali un po’ di più: le loro famiglie hanno spesso potuto riparare in Europa, hanno dunque maggiori disponibilità. Si batte all’asta forza lavoro. Un viaggio al termine della notte (non inedito in realtà, basta saper ascoltare le parole di molti profughi giunti anche da noi) che non può lasciare indifferenti. L’accordo tra Unione europea e Libia (l’Europa collabora con Tripoli affinché le guardie costiere libiche impediscano ai gommoni di raggiungere le acque internazionali) ha spostato a sud la questione migranti con il chiaro obiettivo di sottrarla al vecchio continente.

Il governo libico di unione nazionale (Gna) che gestisce una ventina di centri di detenzione, di fronte alle denunce giornalistiche e delle Ong (in particolare Medici senza frontiere, in prima fila in questa ennesima battaglia) ha ora aperto un’inchiesta. Come se le autorità non fossero state al corrente di pratiche che – stando a innumerevoli testimonianze – sono molto diffuse. Come se ignorassero le condizioni di vita insostenibili nei campi di detenzione, hangar, capannoni e vecchie officine in disuso – dove sono intasati 20mila migranti.

Sulla scorta delle denunce della Cnn, alcuni giornali, come il francese Le Monde, rompono ora il velo di indifferenza con inchieste circostanziate su questi centri di detenzione ufficiali: sovrappopolamento, razioni alimentari inferiori alle 800 calorie, profughi costretti per l’assenza di gabinetti a fare i propri bisogni negli spazi dove devono poi dormire, malattie respiratorie, diarree letali, scabbia diffusa ovunque, mancanza di acqua potabile, parti ad alto rischio, senza assistenza medica.
Profughi venduti dalle guardie alle milizie che poi li trasferiscono nei campi illegali per rivenderli a loro volta come schiavi. Torture sistematiche. Donne costrette a prostituirsi per poter ritrovare la libertà. Nessuno sapeva nulla?

Certo è che quanto succede dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza europea. L’alto commissariato per i diritti umani, il giordano Zeid Raad Al Husseini punta il dito contro l’atteggiamento considerato pilatesco dell’Ue. Che, spinta dalla crescente ondata di indignazione, rispolvera ora i propri valori e chiede a Tripoli di chiudere i centri di detenzione e di aprire centri di accoglienza che garantiscano standard umanitari accettabili. Perché, come afferma il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, non si possono sacrificare i diritti umani sull’altare della lotta contro l’immigrazione illegale. È in gioco la vita di decine di migliaia di persone. E pure la ragion d’essere morale del nostro continente.

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